Il libro di cui ti parlerò oggi, L'eredità dell'abate nero, fa parte di una trilogia che è stata successivamente intitolata Secretum Saga. Il libro è del 2017; ma prima di proseguire, ecco la trama.
Firenze, 1439. Un misterioso oggetto esoterico, le Tavole di Smeraldo, sono al centro della bramosia dell'uomo più potente della città: Cosimo de'Medici. Vent'anni dopo, nella buia cripta di un'abbazia, il ladro Tigrinus assiste accidentalmente a un omicidio, del quale viene incriminato. Scarcerato in segreto dal Signore della Repubblica, a Tigrinus non resta che mettersi alla ricerca delle Tavole per ordine di Cosimo. Il viaggio sarà l'occasione per il ladro di fare luce sulle proprie origini, venendo a conoscenza di una verità scioccante; ma dovrà fare i conti anche col presente, nel quale è costantemente braccato dalla famiglia del defunto, assetata di vendetta.
Devo dire che Marcello Simoni mi ha stupito. Vi ho già parlato di un suo libro, La cattedrale dei morti. Le indagini di Vitale Federici e, per quanto bello, avevo espresso qualche riserva e critica.
Qui invece, fortunatamente, siamo in presenza di un Romanzo fatto e finito! Alleluja!.
Il libro è affascinante, con una storia che si sviluppa in un periodo che personalmente ho sempre trovato interessante, per quanto non sia il mio preferito. Tuttavia, ripeto, immergersi nella lettura e viaggiare col protagonista tra viuzze e androni della Firenze umanista e non ancora rinascimentale è davvero intrigante. Certo qualche tirata d'orecchio l'autore la meriterebbe, perché non corrisponde proprio al vero ciò che ha scritto nella sua nota finale. Simoni afferma che il suo libro descrive una Firenze bancaria, mercantile oltre che artistica. A mio avviso avrebbe dovuto aggiungere “ho cercato di”, giacché non si percepiscono in maniera preponderante questi aspetti. Lì ha accennati, ma senza approfondire. Penso che la ragione sia stata essenzialmente per non tediare troppo il lettore con tecnicismi; decisione giusta, per carità, ma avrebbe potuto osare maggiormente pur senza usare terminologie specifiche. Insomma l'elemento bancario c'è ma è nebuloso.
Oltre a ciò è palpabile la volontà di Simoni di essere quanto più fedele possibile alla Storia, eppure qualche errore l'ha commesso. La narrazione è ambientata nel 1459 e in quel tempo, benché la cupola del Brunelleschi già si stagliava sulla città, non si poteva ancora vedere la Lanterna, che era ancora in fase di costruzione (fu completata infatti solo nel 1461). Perciò è impossibile che dalla stessa vi giungesse luce; semmai proveniva dall'oculus.
Al di là di queste quisquilie dovute a deformazione professionale, lo scrittore si merita un plauso per aver saputo creare una storia partendo da un nome su un documento storico e poi fomentando una leggenda, già presente all'epoca citata. Mi riferisco, come lui stesso ammette nella nota conclusiva, alla figura di Damiano. Il modo in cui descrive le sue origini e la sua persona è assai interessante, così come l'aver collegato i gemelli con affreschi e dipinti esistenti. Il personaggio e il suo mondo sono tanto realistici da sembrare veritieri.
Apro una parentesi sulla fonte. L'autore si è servito delle tavole genealogiche delle Famiglie celebri d'Italia di Pompeo Litta del XIX secolo. Si tratta di una fonte utile per chi volesse indagare sul passato di alcune tra le casate nobiliari più importanti del nostro Paese, tra cui quelle delle Signorie, di cui anche il sottoscritto si è servito per redigere un albero genealogico. Ciononostante bisogna stare attenti, perché spesso il Litta sbaglia e quindi, nel caso ne facessi uso lettore/trice, sarebbe sempre meglio che comprovassi i suoi dati con altre fonti, specie riguardo quelle persone sul quale lo stesso autore nutre dei dubbi. Difatti, la voce Damiano è presente (vedi link), ma di lui si sa solo l'anno di morte. Per sapere se fosse davvero il gemello o, quanto meno, per dare fondo alla leggenda bisognerebbe sondare la bibliografia suggerita dal Litta. Chiusa parentesi.
Altro punto di forza è la struttura del romanzo. Ho apprezzato che Simoni abbia deciso di spezzettare in tanti capitoli il proprio manoscritto: capitoli brevi e numerosi aumentano, a mio avviso, la bramosia nel lettore e agevolano senza dubbio la lettura. Ciò è dato anche dalla brevità delle frasi, che non son così lunghe da spingere l'avventore a implorare il punto. Naturalmente una simile “sensazione” dipende dalla forma lessicale scelta e, in minima parte, dalla predisposizione mentale di chi legge: anche un libro come Narciso e Boccadoro, di cui Hesse ha riempito con proposizioni senza fine, può risultare scorrevole se il lettore venisse fin da subito rapito dalle immagini ivi scritte. Sarebbe però stato curioso se Simoni avesse aggiunto qua e là qualche inflessione toscana; avrebbe probabilmente dato più colore al testo. E poi qualche descrizione (approfondita) in più non guastava.
Quindi, se ti piacciono le storie di avventura su base storica, ti consiglio fortemente di leggere questo romanzo perché rimarrai colpito. Vediamo cosa ne sarà dei due successivi.
Buona lettura.
P.S: Caro Simoni vorresti svelare le ultime parole di Giannotto? Ricordati la prossima volta di sbrogliare tutta la matassa del mistero, quando arrivi alla fine dei giochi.
Devo dire che Marcello Simoni mi ha stupito. Vi ho già parlato di un suo libro, La cattedrale dei morti. Le indagini di Vitale Federici e, per quanto bello, avevo espresso qualche riserva e critica.
Qui invece, fortunatamente, siamo in presenza di un Romanzo fatto e finito! Alleluja!.
Il libro è affascinante, con una storia che si sviluppa in un periodo che personalmente ho sempre trovato interessante, per quanto non sia il mio preferito. Tuttavia, ripeto, immergersi nella lettura e viaggiare col protagonista tra viuzze e androni della Firenze umanista e non ancora rinascimentale è davvero intrigante. Certo qualche tirata d'orecchio l'autore la meriterebbe, perché non corrisponde proprio al vero ciò che ha scritto nella sua nota finale. Simoni afferma che il suo libro descrive una Firenze bancaria, mercantile oltre che artistica. A mio avviso avrebbe dovuto aggiungere “ho cercato di”, giacché non si percepiscono in maniera preponderante questi aspetti. Lì ha accennati, ma senza approfondire. Penso che la ragione sia stata essenzialmente per non tediare troppo il lettore con tecnicismi; decisione giusta, per carità, ma avrebbe potuto osare maggiormente pur senza usare terminologie specifiche. Insomma l'elemento bancario c'è ma è nebuloso.
Oltre a ciò è palpabile la volontà di Simoni di essere quanto più fedele possibile alla Storia, eppure qualche errore l'ha commesso. La narrazione è ambientata nel 1459 e in quel tempo, benché la cupola del Brunelleschi già si stagliava sulla città, non si poteva ancora vedere la Lanterna, che era ancora in fase di costruzione (fu completata infatti solo nel 1461). Perciò è impossibile che dalla stessa vi giungesse luce; semmai proveniva dall'oculus.
Al di là di queste quisquilie dovute a deformazione professionale, lo scrittore si merita un plauso per aver saputo creare una storia partendo da un nome su un documento storico e poi fomentando una leggenda, già presente all'epoca citata. Mi riferisco, come lui stesso ammette nella nota conclusiva, alla figura di Damiano. Il modo in cui descrive le sue origini e la sua persona è assai interessante, così come l'aver collegato i gemelli con affreschi e dipinti esistenti. Il personaggio e il suo mondo sono tanto realistici da sembrare veritieri.
Apro una parentesi sulla fonte. L'autore si è servito delle tavole genealogiche delle Famiglie celebri d'Italia di Pompeo Litta del XIX secolo. Si tratta di una fonte utile per chi volesse indagare sul passato di alcune tra le casate nobiliari più importanti del nostro Paese, tra cui quelle delle Signorie, di cui anche il sottoscritto si è servito per redigere un albero genealogico. Ciononostante bisogna stare attenti, perché spesso il Litta sbaglia e quindi, nel caso ne facessi uso lettore/trice, sarebbe sempre meglio che comprovassi i suoi dati con altre fonti, specie riguardo quelle persone sul quale lo stesso autore nutre dei dubbi. Difatti, la voce Damiano è presente (vedi link), ma di lui si sa solo l'anno di morte. Per sapere se fosse davvero il gemello o, quanto meno, per dare fondo alla leggenda bisognerebbe sondare la bibliografia suggerita dal Litta. Chiusa parentesi.
Altro punto di forza è la struttura del romanzo. Ho apprezzato che Simoni abbia deciso di spezzettare in tanti capitoli il proprio manoscritto: capitoli brevi e numerosi aumentano, a mio avviso, la bramosia nel lettore e agevolano senza dubbio la lettura. Ciò è dato anche dalla brevità delle frasi, che non son così lunghe da spingere l'avventore a implorare il punto. Naturalmente una simile “sensazione” dipende dalla forma lessicale scelta e, in minima parte, dalla predisposizione mentale di chi legge: anche un libro come Narciso e Boccadoro, di cui Hesse ha riempito con proposizioni senza fine, può risultare scorrevole se il lettore venisse fin da subito rapito dalle immagini ivi scritte. Sarebbe però stato curioso se Simoni avesse aggiunto qua e là qualche inflessione toscana; avrebbe probabilmente dato più colore al testo. E poi qualche descrizione (approfondita) in più non guastava.
Quindi, se ti piacciono le storie di avventura su base storica, ti consiglio fortemente di leggere questo romanzo perché rimarrai colpito. Vediamo cosa ne sarà dei due successivi.
Buona lettura.
P.S: Caro Simoni vorresti svelare le ultime parole di Giannotto? Ricordati la prossima volta di sbrogliare tutta la matassa del mistero, quando arrivi alla fine dei giochi.