Buondì caro/a lettore/trice.
Come già anticipato, la recensione di oggi verterà sull'ultimo (speriamo di no) capitolo della Secretum Saga di Marcello Simoni: L'enigma dell'abate nero. Questa la trama:
Come già anticipato, la recensione di oggi verterà sull'ultimo (speriamo di no) capitolo della Secretum Saga di Marcello Simoni: L'enigma dell'abate nero. Questa la trama:
Firenze, 1461. Era da un anno ormai che Tigrinus era entrato in affari con Angelo Bruni e da un po' di tempo la sua vita era diventata monotona. Gli serviva azione e avventura. Fu quindi con rinata eccitazione che ascoltò l'interessante proposta del suo socio: c'era un uomo che aveva bisogno di aiuto, per sventare un complotto ai danni di un alto prelato e la ricompensa era assai ghiotta. Un personaggio, però, che aveva ben più da fornire al ladro di mera pecunia.
Con la speranza di ottenere finalmente delle risposte, Tigrinus partirà per un nuovo viaggio che lo porterà a lasciare Firenze verso lidi più aspri, inconsapevole di essere ancora una volta il bersaglio di oscure muliebri macchinazioni.
Devo, purtroppo, ammettere che mi sarei aspettato qualcosa di diverso da un romanzo che, almeno apparentemente, avrebbe dovuto concludere un cerchio narrativo. Invece Marcello Simoni non solo lascia il lettore con l'amaro in bocca, ma pure instiga la sua bramosa curiosità, lasciandolo con un pugno di mosche. In breve: il “finale” (e qui le virgolette sono d'obbligo) è davvero pessimo. Inizio seriamente a pensare che ci sia una sorta di “sindrome della fine mozza” che aleggi tra gli scrittori, dato che finora solo in pochissimi (tra quelli letti) non hanno fallito nello scrivere l'epilogo delle proprie storie. Ecco, la parola giusta: epilogo. Alcuni autori non conoscono il significato di questo termine (dalla voce Treccani: l’ultima parte di un discorso o di uno scritto, in cui si riassumono, concludendo, le cose già dette) anzi; invece di dare una fine solida e chiara alla propria opera, lasciano tutto in sospeso per fornire la possibilità al lettore di continuare a fantasticare.
Se quest'ultimo espediente fosse stato nelle intenzioni di Simoni, purtroppo bisogna che si svegli e si renda conto di aver fallito. Perchè la fine de L'enigma dell'abate nero, che ovviamente non starò qui a svelare, è stata stesa nella stessa struttura di quelle dei due capitoli precedenti: non tira i fili della narrazione e lascia in sospeso molte questioni irrisolte (senza produrre elementi), le quali il lettore immagina di poter leggere in un prossimo libro. Bada, caro visitatore/trice, che non c'è contraddizione con quanto arguito poc'anzi. L'autore non invoglia a fantasticare sulle avventure di Tigrinus e degli altri personaggi, fornendo al contempo una conclusione degna (come lo è quella de Il nome della Rosa di Umberto Eco, per esempio); semmai instiga nel lettore la vana (per ora) consapevolezza che ci sarà un nuovo capitolo. Cioè, in parole povere: il lettore si trova a leggere questo romanzo, convinto che poi ce ne sarà un altro (ossia come quando si leggono i capitoli iniziali di una saga).
Ciononostante, non tutto il male viene per nuocere. Basterebbe semplicemente che il nostro autore si metta di nuovo al lavoro e ci sforni altri tre libri (come minimo) con le nuove avventure di Tigrinus e di Bianca. O quanto meno, che dia quelle risposte chiare e concrete le quali, chi ha già letto L'enigma, starà ancora aspettando. La causa di questa cattiva impressione sul romanzo è anche da riscontrarsi nel titolo. “L'enigma” presuppone (e anticipa) che all'interno del testo si trovi la soluzione dello stesso, che ci sia una spiegazione. In realtà anche qui, come già ne Il patto dell'abate nero, il titolo è fuorviante. Sarebbe stato meglio usare l'aggettivo enigmatico forse, adatto a descrivere il carattere del personaggio; ma di questo enigma, per quanto ci sia traccia, non se ne conosce lo scioglimento. Sospetto che tale decisione debba imputarsi all'editore (fonte, spesso, di enormi disastri) e non tanto all'autore.
Perciò, con la speranza e l'augurio che il sig. Simoni riprenda al più presto a discorrere sulle scorrerie di Tigrinus, sulla bramosia di Cosimo per la Tavola di Smeraldo (fornendo spiegazioni finalmente), che acclari cosa ne sia stato di Angelo e come prosegua la vita di Bianca (basterebbe anche un solo paragrafo per lei), ma sopratutto che fine abbia fatto l'abato nero e i suoi coinvolgimenti, ecco SE considerassimo L'enigma dell'abate nero un mero capitolo della saga, allora non ci sarebbe davvero nulla da ridire. La trama rimane avvincente; le descrizioni di Ravenna, forse un po' inventate, sono comunque sbalorditive e, come ho già avuto modo di dire, fanno rivivere un paesaggio che oggigiorno non è più possibile osservare (gran parte del territorio ravennate era infatti coperto di paludi, successivamente bonificate; inoltre il mare era molto più vicino alla città di quanto non lo sia oggi).
Non mi/ci resta dunque che aspettare e sperare che l'autore torni sulla storia e non la lasci incompiuta. Perchè c'è ancora molto da scoprire.
Alla prossima!
P.S.: Nel remoto (e improbabile) caso che l'autore stia leggendo questa recensione, vorrei che sapesse che ci sono degli errori di battitura e ortografici nel testo, i quali sarei lieto di fornire per la correzione.
Con la speranza di ottenere finalmente delle risposte, Tigrinus partirà per un nuovo viaggio che lo porterà a lasciare Firenze verso lidi più aspri, inconsapevole di essere ancora una volta il bersaglio di oscure muliebri macchinazioni.
Devo, purtroppo, ammettere che mi sarei aspettato qualcosa di diverso da un romanzo che, almeno apparentemente, avrebbe dovuto concludere un cerchio narrativo. Invece Marcello Simoni non solo lascia il lettore con l'amaro in bocca, ma pure instiga la sua bramosa curiosità, lasciandolo con un pugno di mosche. In breve: il “finale” (e qui le virgolette sono d'obbligo) è davvero pessimo. Inizio seriamente a pensare che ci sia una sorta di “sindrome della fine mozza” che aleggi tra gli scrittori, dato che finora solo in pochissimi (tra quelli letti) non hanno fallito nello scrivere l'epilogo delle proprie storie. Ecco, la parola giusta: epilogo. Alcuni autori non conoscono il significato di questo termine (dalla voce Treccani: l’ultima parte di un discorso o di uno scritto, in cui si riassumono, concludendo, le cose già dette) anzi; invece di dare una fine solida e chiara alla propria opera, lasciano tutto in sospeso per fornire la possibilità al lettore di continuare a fantasticare.
Se quest'ultimo espediente fosse stato nelle intenzioni di Simoni, purtroppo bisogna che si svegli e si renda conto di aver fallito. Perchè la fine de L'enigma dell'abate nero, che ovviamente non starò qui a svelare, è stata stesa nella stessa struttura di quelle dei due capitoli precedenti: non tira i fili della narrazione e lascia in sospeso molte questioni irrisolte (senza produrre elementi), le quali il lettore immagina di poter leggere in un prossimo libro. Bada, caro visitatore/trice, che non c'è contraddizione con quanto arguito poc'anzi. L'autore non invoglia a fantasticare sulle avventure di Tigrinus e degli altri personaggi, fornendo al contempo una conclusione degna (come lo è quella de Il nome della Rosa di Umberto Eco, per esempio); semmai instiga nel lettore la vana (per ora) consapevolezza che ci sarà un nuovo capitolo. Cioè, in parole povere: il lettore si trova a leggere questo romanzo, convinto che poi ce ne sarà un altro (ossia come quando si leggono i capitoli iniziali di una saga).
Ciononostante, non tutto il male viene per nuocere. Basterebbe semplicemente che il nostro autore si metta di nuovo al lavoro e ci sforni altri tre libri (come minimo) con le nuove avventure di Tigrinus e di Bianca. O quanto meno, che dia quelle risposte chiare e concrete le quali, chi ha già letto L'enigma, starà ancora aspettando. La causa di questa cattiva impressione sul romanzo è anche da riscontrarsi nel titolo. “L'enigma” presuppone (e anticipa) che all'interno del testo si trovi la soluzione dello stesso, che ci sia una spiegazione. In realtà anche qui, come già ne Il patto dell'abate nero, il titolo è fuorviante. Sarebbe stato meglio usare l'aggettivo enigmatico forse, adatto a descrivere il carattere del personaggio; ma di questo enigma, per quanto ci sia traccia, non se ne conosce lo scioglimento. Sospetto che tale decisione debba imputarsi all'editore (fonte, spesso, di enormi disastri) e non tanto all'autore.
Perciò, con la speranza e l'augurio che il sig. Simoni riprenda al più presto a discorrere sulle scorrerie di Tigrinus, sulla bramosia di Cosimo per la Tavola di Smeraldo (fornendo spiegazioni finalmente), che acclari cosa ne sia stato di Angelo e come prosegua la vita di Bianca (basterebbe anche un solo paragrafo per lei), ma sopratutto che fine abbia fatto l'abato nero e i suoi coinvolgimenti, ecco SE considerassimo L'enigma dell'abate nero un mero capitolo della saga, allora non ci sarebbe davvero nulla da ridire. La trama rimane avvincente; le descrizioni di Ravenna, forse un po' inventate, sono comunque sbalorditive e, come ho già avuto modo di dire, fanno rivivere un paesaggio che oggigiorno non è più possibile osservare (gran parte del territorio ravennate era infatti coperto di paludi, successivamente bonificate; inoltre il mare era molto più vicino alla città di quanto non lo sia oggi).
Non mi/ci resta dunque che aspettare e sperare che l'autore torni sulla storia e non la lasci incompiuta. Perchè c'è ancora molto da scoprire.
Alla prossima!
P.S.: Nel remoto (e improbabile) caso che l'autore stia leggendo questa recensione, vorrei che sapesse che ci sono degli errori di battitura e ortografici nel testo, i quali sarei lieto di fornire per la correzione.