SPOILER ALERT
Il terzo capitolo della saga dei nostri beniamini semidivini, Il marchio di Atena, è sicuramente molto più avvincente dei precedenti. Vediamo la trama.
Annabeth, Jason, Leo e Piper si riuniscono finalmente con Percy. Ma la tranquillità e la gioia è assai breve. Assieme ai nuovi compagni del figlio di Poseidone, Frank e Hazel, il gruppo dei Sette parte finalmente per la missione assegnata loro dalla nuova Grande Profezia: raggiungere le antiche terre. Il viaggio però sarà molto lungo e non privo di ostacoli. Annabeth e Percy, assieme agli altri semidei, dovranno affrontare due grandi pericoli, che si annidano nelle oscurità della Città Antica.
Eccettuato per alcuni personaggi introdotti un po' a caso, senza un minimo di collegamento con il loro mito, la storia mi è piaciuta molto sopratutto per il luogo in cui è ambientata. Tuttavia non vi nascondo che le critiche sono maggiori rispetto alle lodi; per questo motivo separerò i pro dai contro.
PRO
Come affermato precedentemente, ho trovato interessante l'ambientazione principale dell'avventura e anche l'idea di Riordan di creare sotterranei e stanze gigantesche nel sottosuolo di un'immensa e antica città; però ci sono delle descrizioni poco realistiche di cui parlerò in seguito.
Per quanto riguarda i personaggi mitologici, mi è piaciuta l'idea di far impazzire La Dea e di dove sia avvenuto questo fatto: ha un senso logico per una pazza che vuole ritrovare la retta via. Forse sarebbe stato più accattivante, se la follia fosse stata più vivace, con più particolari; per esempio continui “brillamenti” e cambio di personalità e voce. Evidentemente l'autore non l'ha reso necessario.
Continuando con i personaggi, ho apprezzato la versione incattivita del “bell'egoista”, sebbene pure qui la sua rappresentazione poteva essere arricchita con la presenza di fiori gialli attorno ai suoi piedi. L'autore, per introdurlo sulla scena, ha preferito rifarsi al mito romano piuttosto che all'originale greco; poco male, perché entrambe le versioni sono educative e romantiche. Al contrario, divertenti e assolutamente imprevedibili sono state le raffigurazioni di due divinità minori romane e la loro somiglianza con due attori del cinema hollywoodiano di fama internazionale. La citazione aulica è stata senza dubbio inaspettata e ben accolta; e poi è un film che tutti dovrebbero vedere (e che molte ragazze vorrebbero vivere).
Infine mi ha colpito molto la descrizione dello Stretto e delle sue Colonne, anche se è un po' macchinosa la loro rappresentazione; mi è stato difficile intuire come l'autore se le fosse raffigurate nella propria mente.
CONTRO
Per quanto riguarda le critiche, alcune sono rivolte ai personaggi e all'ambientazione, altre invece fanno capo allo sprezzante commento dell'autore verso i miei connazionali.
Cominciando dalle comparse, Riordan si lamenta dei cliché cinematografici riguardanti un famoso e forzuto eroe, facendolo inveire contro i registi per averlo sempre dipinto come un aitante guerriero pieno di muscoli (qui è rappresentato come un ventenne o poco più). Tale espediente l'avrei anche accolto positivamente, se non fosse che qualche riga più avanti l'autore descriva una divinità fluviale con i classici stereotipi greci del cinema. Perciò alla fine risulta un po' ipocrita. Inoltre personalmente non approvo la scelta di Riordan di voler rappresentare molti personaggi mitologici come degli adolescente imberbi, solo per equipararli ai protagonisti: forse i suoi semidei non sono in grado di sconfiggere degli adulti? Eppure in Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo aveva descritto Medusa come una nonna che ci teneva alla bellezza e Ares come un motociclista quarantenne. Solo l'autore sa il motivo delle sue decisione, che in ogni caso non condivido.
Riprendo per un secondo la critica mossa in apertura riferita a personaggi disposti a caso. In particolare ce n'è uno che Riordan ha voluto inserire senza però tenere conto della sua storia e del suo nome. Infatti il “ragazzo d'oro” nella tradizione mitologica non è affatto un dio (così come non lo è Gea) e tantomeno è crudele: era una sorta di “semidio” (visti i natali), il cui nome non significava “la spada d'oro” ma “il portatore della lancia d'oro”. E come ho già detto non era cattivo, anzi compì diverse buone azioni tanto che fu premiato con l'arma sacra dal suo divino padre. Riordan ha invece stravolto la sua storia, facendone di lui un disgraziato predatore. L'unico aspetto sensato di questo “ragazzo d'oro”è l'astio nei confronti di Percy e la relativa motivazione.
Veniamo ora all'ambientazione. Io sono del parere che quando si utilizza una città esistente come sede principale di una storia fittizia, l'esposizione debba essere per lo meno fedele alla realtà. La prima sensazione che ho avuto, invece, è che l'autore non ci abbia mai messo piede e si sia basato solamente sulle immagini di Google Maps. E nemmeno con attenzione, visto che è stata “ricostruita” tridimensionalmente molto bene. In particolare, Riordan parla di una cattedrale eretta vicino a delle antiche rovine, le quali “si trovavano vicino a un moderno stadio di calcio”: ma dove le ha viste??? A questa poi si aggiunge la descrizione del fiume che attraversa la città. Scrive Riordan: “Il **** era ampio, lento, e del colore del caramello. Alcuni alti cipressi si affacciavano sopra gli argini.” Domanda: dove li ha visti i cipressi? Potrei capire se avesse parlato di platani, ma cipressi? Forse l'autore si è bevuto qualche bicchiere di vino di troppo.
Prima di cambiare argomento, sempre in riferimento alle descrizioni poco chiare della location vi è tutta la sequenza del salvataggio di Annabeth. L'autore indica un ipotetico parcheggio posto alle spalle di un importante monumento (che lui menziona come se parlasse di patatine) che di fatto non c'è. Allora le cose sono due: o ha confuso una piazza (famosa per altro) con un'area di sosta (ancora sotto gli effluvi dell'alcol), oppure se ne è fregato di aggiungere i particolari per rappresentare al meglio l'ambientazione. In ogni caso mi sembra di capire che le rappresentazioni urbanistiche non siano il suo forte.
Infine non mi è piaciuta la frecciatina nei nostri confronti, specialmente rivolta alle nostri abitudini culinarie: come se noi non mangiassimo mai pizza a pranzo e non aggiungessimo il ghiaccio nelle bibite. E proprio riguardo la pizza, il commento è totalmente fuori luogo: caro Mr. Riordan cosa si aspetta da un bar? Che le sforni una pizza fresca direttamente dal forno a legna? Bah, questi americani. A tal proposito una nota negativa devo assegnarla alle traduttrici italiane: signore non traducete cafè con bar-pizzeria, perché è alquanto squallido. E per concludere, la critica (totalmente fuori luogo) mossa dal caprone, il quale si lamenta che noi non parliamo mai di baseball. Tralasciando che ci sono diverse squadre in Italia molto brave e c'è un campionato di categoria, ma a noi del baseball americano che cazzo ce ne frega? E un po' come la scelta di Mediaset di voler trasmettere il super bowl; ma chi se ne frega, voglio dire!
Forse sarò stato un po' troppo critico e spero non mi giudichiate male per questo, ma certi aspetti (personaggi, luoghi, ecc) potevano essere raffigurati decisamente meglio, visto che l'argomento si presta notevolmente.
Alla prossima con il quarto libro!
(Aggiornato il 23/12/17)
Eccettuato per alcuni personaggi introdotti un po' a caso, senza un minimo di collegamento con il loro mito, la storia mi è piaciuta molto sopratutto per il luogo in cui è ambientata. Tuttavia non vi nascondo che le critiche sono maggiori rispetto alle lodi; per questo motivo separerò i pro dai contro.
PRO
Come affermato precedentemente, ho trovato interessante l'ambientazione principale dell'avventura e anche l'idea di Riordan di creare sotterranei e stanze gigantesche nel sottosuolo di un'immensa e antica città; però ci sono delle descrizioni poco realistiche di cui parlerò in seguito.
Per quanto riguarda i personaggi mitologici, mi è piaciuta l'idea di far impazzire La Dea e di dove sia avvenuto questo fatto: ha un senso logico per una pazza che vuole ritrovare la retta via. Forse sarebbe stato più accattivante, se la follia fosse stata più vivace, con più particolari; per esempio continui “brillamenti” e cambio di personalità e voce. Evidentemente l'autore non l'ha reso necessario.
Continuando con i personaggi, ho apprezzato la versione incattivita del “bell'egoista”, sebbene pure qui la sua rappresentazione poteva essere arricchita con la presenza di fiori gialli attorno ai suoi piedi. L'autore, per introdurlo sulla scena, ha preferito rifarsi al mito romano piuttosto che all'originale greco; poco male, perché entrambe le versioni sono educative e romantiche. Al contrario, divertenti e assolutamente imprevedibili sono state le raffigurazioni di due divinità minori romane e la loro somiglianza con due attori del cinema hollywoodiano di fama internazionale. La citazione aulica è stata senza dubbio inaspettata e ben accolta; e poi è un film che tutti dovrebbero vedere (e che molte ragazze vorrebbero vivere).
Infine mi ha colpito molto la descrizione dello Stretto e delle sue Colonne, anche se è un po' macchinosa la loro rappresentazione; mi è stato difficile intuire come l'autore se le fosse raffigurate nella propria mente.
CONTRO
Per quanto riguarda le critiche, alcune sono rivolte ai personaggi e all'ambientazione, altre invece fanno capo allo sprezzante commento dell'autore verso i miei connazionali.
Cominciando dalle comparse, Riordan si lamenta dei cliché cinematografici riguardanti un famoso e forzuto eroe, facendolo inveire contro i registi per averlo sempre dipinto come un aitante guerriero pieno di muscoli (qui è rappresentato come un ventenne o poco più). Tale espediente l'avrei anche accolto positivamente, se non fosse che qualche riga più avanti l'autore descriva una divinità fluviale con i classici stereotipi greci del cinema. Perciò alla fine risulta un po' ipocrita. Inoltre personalmente non approvo la scelta di Riordan di voler rappresentare molti personaggi mitologici come degli adolescente imberbi, solo per equipararli ai protagonisti: forse i suoi semidei non sono in grado di sconfiggere degli adulti? Eppure in Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo aveva descritto Medusa come una nonna che ci teneva alla bellezza e Ares come un motociclista quarantenne. Solo l'autore sa il motivo delle sue decisione, che in ogni caso non condivido.
Riprendo per un secondo la critica mossa in apertura riferita a personaggi disposti a caso. In particolare ce n'è uno che Riordan ha voluto inserire senza però tenere conto della sua storia e del suo nome. Infatti il “ragazzo d'oro” nella tradizione mitologica non è affatto un dio (così come non lo è Gea) e tantomeno è crudele: era una sorta di “semidio” (visti i natali), il cui nome non significava “la spada d'oro” ma “il portatore della lancia d'oro”. E come ho già detto non era cattivo, anzi compì diverse buone azioni tanto che fu premiato con l'arma sacra dal suo divino padre. Riordan ha invece stravolto la sua storia, facendone di lui un disgraziato predatore. L'unico aspetto sensato di questo “ragazzo d'oro”è l'astio nei confronti di Percy e la relativa motivazione.
Veniamo ora all'ambientazione. Io sono del parere che quando si utilizza una città esistente come sede principale di una storia fittizia, l'esposizione debba essere per lo meno fedele alla realtà. La prima sensazione che ho avuto, invece, è che l'autore non ci abbia mai messo piede e si sia basato solamente sulle immagini di Google Maps. E nemmeno con attenzione, visto che è stata “ricostruita” tridimensionalmente molto bene. In particolare, Riordan parla di una cattedrale eretta vicino a delle antiche rovine, le quali “si trovavano vicino a un moderno stadio di calcio”: ma dove le ha viste??? A questa poi si aggiunge la descrizione del fiume che attraversa la città. Scrive Riordan: “Il **** era ampio, lento, e del colore del caramello. Alcuni alti cipressi si affacciavano sopra gli argini.” Domanda: dove li ha visti i cipressi? Potrei capire se avesse parlato di platani, ma cipressi? Forse l'autore si è bevuto qualche bicchiere di vino di troppo.
Prima di cambiare argomento, sempre in riferimento alle descrizioni poco chiare della location vi è tutta la sequenza del salvataggio di Annabeth. L'autore indica un ipotetico parcheggio posto alle spalle di un importante monumento (che lui menziona come se parlasse di patatine) che di fatto non c'è. Allora le cose sono due: o ha confuso una piazza (famosa per altro) con un'area di sosta (ancora sotto gli effluvi dell'alcol), oppure se ne è fregato di aggiungere i particolari per rappresentare al meglio l'ambientazione. In ogni caso mi sembra di capire che le rappresentazioni urbanistiche non siano il suo forte.
Infine non mi è piaciuta la frecciatina nei nostri confronti, specialmente rivolta alle nostri abitudini culinarie: come se noi non mangiassimo mai pizza a pranzo e non aggiungessimo il ghiaccio nelle bibite. E proprio riguardo la pizza, il commento è totalmente fuori luogo: caro Mr. Riordan cosa si aspetta da un bar? Che le sforni una pizza fresca direttamente dal forno a legna? Bah, questi americani. A tal proposito una nota negativa devo assegnarla alle traduttrici italiane: signore non traducete cafè con bar-pizzeria, perché è alquanto squallido. E per concludere, la critica (totalmente fuori luogo) mossa dal caprone, il quale si lamenta che noi non parliamo mai di baseball. Tralasciando che ci sono diverse squadre in Italia molto brave e c'è un campionato di categoria, ma a noi del baseball americano che cazzo ce ne frega? E un po' come la scelta di Mediaset di voler trasmettere il super bowl; ma chi se ne frega, voglio dire!
Forse sarò stato un po' troppo critico e spero non mi giudichiate male per questo, ma certi aspetti (personaggi, luoghi, ecc) potevano essere raffigurati decisamente meglio, visto che l'argomento si presta notevolmente.
Alla prossima con il quarto libro!
(Aggiornato il 23/12/17)
Aggiornamento: modificata l'impaginazione. (Aggiornato il 22/12/2020)