ATTENZIONE: NON, e ripeto NON, ci sono SPOILER.
Recentemente ho terminato di leggere un nuovo libro sull'affascinante figura di Napoleone Bonaparte, Imperatore dei Francesi e Re d'Italia, scritto dallo storico inglese Andrew Roberts e intitolato Napoleone il Grande, pubblicato dalla UTET.
Come scrive lo stesso autore nell'introduzione, il libro non presenta nulla di originale e in effetti, leggendolo, non ho scoperto nulla (se non poco) di nuovo sulla vita di questo grande uomo. Inoltre scorgendo la bibliografia si può notare come mr. Roberts abbia impiegato per la maggior parte opere di altri storici importanti e buona parte di monografie dell'epoca. In cosa consiste dunque la particolarità di questo testo? Nell'uso della corrispondenza napoleonica.
Napoleone durante tutta la sua vita scrisse 33 mila lettere (almeno questo è il numero a noi pervenuto) con un picco di oltre 3 mila missive annue, inviate durante il periodo 1804-1812. Tutta questa corrispondenza è in fase di ripubblicazione (l'ultimo numero è del novembre 2016 e tratta le lettere di gennaio-giugno 1813) a opera della Fondation Napoléon, il cui lavoro certosino ci permetterà di scoprire a fondo molti degli aspetti pubblici e privati dell'Imperatore. Tuttavia già nella seconda metà dell'Ottocento, come ci fa sapere Roberts, comparvero diverse pubblicazioni (per es: durante il Secondo Impero del nipote, Napoleone III) che però furono compromesse da tagli ed epurazioni. L'obiettivo della Fondation Napoléon, pertanto, è quello di ripristinare nella loro interezza le lettere e pubblicare quelle ancora inedite (che sono circa 1/3). Ma torniamo a noi.
Il libro è suddiviso in 3 parti (Ascesa, Supremazia, Ultimo Atto) nelle quali l'autore, come ho detto precedentemente, descrive la storia di Napoleone attraverso le sue lettere e i suoi scritti. Scopriamo così: un Napoleone innamorato, uno preoccupato per l'economia nazionale e i bisogni del popolo (si preoccupò del prezzo del pane sul campo di battaglia), uno attento alle necessità dei popoli “sottomessi”, un Napoleone innovatore e via dicendo; perché il “Generale Bonaparte”, come lo chiamarono i suoi detrattori (in primis il 90% degli inglesi), ebbe questa straordinaria capacità di pensare a compartimenti stagni. Mentre era in guerra, fisicamente, cioè era presente sul campo di battaglia, tra una decisione militare e l'altra inviava raccomandazioni e ordini ai suoi ministri a Parigi con idee e miglioramenti per il benessere popolare (e non solo). Non era (è) da tutti una capacità simile.
Come potete capire, dunque, questo storico inglese rappresenta l'eccezione che conferma la regola: è uno dei pochi reali ammiratori britannici dell'Imperatore. E per chi di voi leggerà questa recensione prima del libro, vi posso assicurare che non è uno spoiler, poiché lo si capisce fin dall'introduzione. Perchè l'ha intitolato Napoleone il Grande? Beh questo lo lascio scoprire a voi. Ciononostante rimane comunque uno scrittore britannico e questa sua “britannicità” sembra scaturire in diversi punti del testo, come motivo di orgoglio. Io l'ho definita egobritannia, perché mette in risalto aspetti della storia inglese (con cui il più delle volte l'autore confronta la politica napoleonica) che a prima vista non sembrano correlate con le dichiarazioni contenute nel testo (se volete le trovate in calce). Perciò, mi son chiesto, a un lettore che sta leggendo le dinamiche napoleoniche, cosa interessa della vita di altri, per lo più inglesi? A mio parere nulla e credo (a ragione o a torto) che anche voi potreste essere d'accordo dopo averlo letto.
Affianco a questo problema (lo definisco così perché uno storico, specie nelle biografie, non dovrebbe mai essere condizionato dai propri sentimenti, bensì essere neutrale), ne esiste un altro non da poco. Si trattano di errori concettuali che uno storico non dovrebbe mai commettere, perché quando si parla di Storia bisogna essere sempre precisi e accurati. Per questo motivo sono rimasto sorpreso nel notare certe inesattezze e imprecisioni (le troverete in calce a questa recensione con tanto di correzione).
Da orrore e vergogna pura invece sono le sviste e i disastri grammaticali e/o ortografici commessi dai traduttori italiani, che da Italiano mi vergogno profondamente (uno su tutti: Andrea D'Oria).
Nel complesso, tuttavia, questo libro non è male ed è anche interessante e piacevole alla lettura. Certo, non lo consiglio come testo di studio né tantomeno per ricerche sommarie (per quello vi suggerisco G. Lefevbre, Napoleone, Laterza; più dettagliato), ma per un approfondimento o per un p.d.v. alternativo ci può anche stare.
Per ora è tutto gente, alla prossima.
IMPRECISIONI STORICHE:
EGOBRITANNIA:
Napoleone durante tutta la sua vita scrisse 33 mila lettere (almeno questo è il numero a noi pervenuto) con un picco di oltre 3 mila missive annue, inviate durante il periodo 1804-1812. Tutta questa corrispondenza è in fase di ripubblicazione (l'ultimo numero è del novembre 2016 e tratta le lettere di gennaio-giugno 1813) a opera della Fondation Napoléon, il cui lavoro certosino ci permetterà di scoprire a fondo molti degli aspetti pubblici e privati dell'Imperatore. Tuttavia già nella seconda metà dell'Ottocento, come ci fa sapere Roberts, comparvero diverse pubblicazioni (per es: durante il Secondo Impero del nipote, Napoleone III) che però furono compromesse da tagli ed epurazioni. L'obiettivo della Fondation Napoléon, pertanto, è quello di ripristinare nella loro interezza le lettere e pubblicare quelle ancora inedite (che sono circa 1/3). Ma torniamo a noi.
Il libro è suddiviso in 3 parti (Ascesa, Supremazia, Ultimo Atto) nelle quali l'autore, come ho detto precedentemente, descrive la storia di Napoleone attraverso le sue lettere e i suoi scritti. Scopriamo così: un Napoleone innamorato, uno preoccupato per l'economia nazionale e i bisogni del popolo (si preoccupò del prezzo del pane sul campo di battaglia), uno attento alle necessità dei popoli “sottomessi”, un Napoleone innovatore e via dicendo; perché il “Generale Bonaparte”, come lo chiamarono i suoi detrattori (in primis il 90% degli inglesi), ebbe questa straordinaria capacità di pensare a compartimenti stagni. Mentre era in guerra, fisicamente, cioè era presente sul campo di battaglia, tra una decisione militare e l'altra inviava raccomandazioni e ordini ai suoi ministri a Parigi con idee e miglioramenti per il benessere popolare (e non solo). Non era (è) da tutti una capacità simile.
Come potete capire, dunque, questo storico inglese rappresenta l'eccezione che conferma la regola: è uno dei pochi reali ammiratori britannici dell'Imperatore. E per chi di voi leggerà questa recensione prima del libro, vi posso assicurare che non è uno spoiler, poiché lo si capisce fin dall'introduzione. Perchè l'ha intitolato Napoleone il Grande? Beh questo lo lascio scoprire a voi. Ciononostante rimane comunque uno scrittore britannico e questa sua “britannicità” sembra scaturire in diversi punti del testo, come motivo di orgoglio. Io l'ho definita egobritannia, perché mette in risalto aspetti della storia inglese (con cui il più delle volte l'autore confronta la politica napoleonica) che a prima vista non sembrano correlate con le dichiarazioni contenute nel testo (se volete le trovate in calce). Perciò, mi son chiesto, a un lettore che sta leggendo le dinamiche napoleoniche, cosa interessa della vita di altri, per lo più inglesi? A mio parere nulla e credo (a ragione o a torto) che anche voi potreste essere d'accordo dopo averlo letto.
Affianco a questo problema (lo definisco così perché uno storico, specie nelle biografie, non dovrebbe mai essere condizionato dai propri sentimenti, bensì essere neutrale), ne esiste un altro non da poco. Si trattano di errori concettuali che uno storico non dovrebbe mai commettere, perché quando si parla di Storia bisogna essere sempre precisi e accurati. Per questo motivo sono rimasto sorpreso nel notare certe inesattezze e imprecisioni (le troverete in calce a questa recensione con tanto di correzione).
Da orrore e vergogna pura invece sono le sviste e i disastri grammaticali e/o ortografici commessi dai traduttori italiani, che da Italiano mi vergogno profondamente (uno su tutti: Andrea D'Oria).
Nel complesso, tuttavia, questo libro non è male ed è anche interessante e piacevole alla lettura. Certo, non lo consiglio come testo di studio né tantomeno per ricerche sommarie (per quello vi suggerisco G. Lefevbre, Napoleone, Laterza; più dettagliato), ma per un approfondimento o per un p.d.v. alternativo ci può anche stare.
Per ora è tutto gente, alla prossima.
IMPRECISIONI STORICHE:
- pag. 113: “dato il carattere eterogeneo dell'impero asburgico...”: concetto impreciso perché alla fine del XVIII secolo non esisteva un impero degli Asburgo. Gli Asburgo erano imperatori del Sacro Romano Impero, entità multistatale che era in guerra con la Francia. Poichè l'autore intende i territori personali asburgici, sarebbe più corretto definirli "possedimenti asburgici”; oppure “territori della Casa d'Austria”. “impero asburgico” è totalmente anacronistico;
- pag. 120 (e seguenti) “Vittorio Amedeo III di Piemonte e Sardegna”: la denominazione è errata, perché il territorio era nominato regno di Sardegna e il sovrano aveva il titolo di re di Sardegna e duca di Savoia e di Piemonte. Inoltre anche il numerale è sbagliato, in quanto fu III come duca ma I come re;
- pag. 130 “Napoli e la Sicilia costituivano un unico regno governato dal Borbone Ferdinando IV”: sbagliato! Napoli e la Sicilia furono un unico regno solo dopo il Congresso di Vienna. Ferdinando di Borbone era re di Napoli (IV nel numerale) e di Sicilia (III nel numerale) ma i governi e le camere erano distinti, erano entità indipendenti;
- pag. 154 “L'imperatore Francesco d'Austria, che era anche il capo del Sacro romano impero”: trattandosi della campagna 1796-1797, la denominazione è errata. L'impero austriaco nacque solo nel 1804, perciò è anacronistico. È più giusto “l'arciduca Francesco d'Austria” oppure “il sacro imperatore Francesco II”, o più semplicemente “l'imperatore Francesco II”;
- pag. 204 “Nel 1782, lo zio dell'imperatore Francesco, Giuseppe II d'Austria...”: come per la precedente, Giuseppe d'Asburgo fu imperatore del S.R.I.G. con il numerale II;
- pag. 212 “c'erano di guarnigione circa 500 giannizzeri [corpo militare mamelucco d'élite]”: gli giannizzeri non erano mamelucchi, bensì un corpo scelto all'interno dell'esercito turco/ottomano corrispondente alla guardia personale del sultano. Esso era formato da giovani di origine non turca (e cristiani) prelevati dalla Moldavia e Valacchia (e altre regioni europee) e cresciuti come turchi. (per info: Vera Costantini, Il sultano e l'isola contesa);
- pag. 430 la nota * è errata. Il termine “Due Sicilie” fu menzionato per la prima volta nel 1442 da Alfonso V d'Aragona nella denominazione latina del titolo reale (Rex Utriusque Siciliae). Inoltre, nel testo, è anacronistico l'uso del nome “regno delle due Sicilie” perché nel 1805 i due regni erano separati (come al punto 3);
- pag. 433 “La corona di ferro della Lombardia (…) a partire da Federico Barbarossa nel 1155.”: questa frase non ha senso. Così scritta sembra che la Lombardia fosse un regno. In ogni caso è preferibile parlare di “Corona Ferrea dei Longobardi” oppure (anche se in maniera errata) “la Corona Ferrea della Longobardia”. Fate però attenzione: tutti i re longobardi erano rex Longobardorum (ossia re dei Longobardi, di un popolo quindi e non di una regione) o rex Italiae. Inoltre il primo a cingersi della corona fu Carlo Magno, perciò è inesatta la precisazione storica;
- pag. 467 “ai piedi del mulino di Spaleny-Mlyn, a 15 chilometri a sud-ovest di Austerlitz”: ci sono due paesi con questo nome in Repubblica Ceca ed entrambi si trovano a nord-ovest di Austerlitz, pertanto la localizzazione;
- pag. 754 “Napoleone si gettò in un'attività frenetica (…) e forse anche con suo cognato l'imperatore Francesco d'Austria”: avendone sposato la figlia, Napoleone era il genero dell'imperatore austriaco. Ciò fa di Francesco suo suocero;
- pag. 767 “Elaborò il proprio piano in fretta: (…) il fianco destro di Ney, e Bernadotte avrebbe aggirato la retroguardia nemica”: Bernadotte nel 1813 era già passato dalla parte nemica (come si legge a pag. 757), perciò non poteva far parte dell'esercito napoleonico. Probabilmente l'autore intendeva Bertrand.
EGOBRITANNIA:
- pag. 477, nota * “Nel 1799 l'ammiraglio Nelson aveva ricevuto da Ferdinando IV di Napoli il ducato siciliano di Bronte e la sua rendita di 3000 sterline annue.";
- p. 482 “la sua tolleranza (di Napoleone) nei confronti degli ebrei, almeno rispetto alle restrizioni presenti in Austria, Prussia, Russia e soprattutto negli Stati pontifici...": stranamente in questo frangente non parla della Gran Bretagna, chissà perchè, di certo non perchè era tollerante;
- p. 554 “Perciò i nuovi titoli concessi da Napoleon avevano una certa somiglianza con il concetto britannico di life peerage, che fu istituito soltanto nel 1958";
- p. 555 nota * “Il primo poeta britannico a ricevere un titolo nobiliare fu Alfred Tennyson nel 1884; il primo artista fu Frederic Leighton, un giorno prima di morire nel 1896.”;
- p. 723 nota * “Gli innumerevoli orologi del palazzo continuavano a ticchettare, ma i russi avevano messo dell'acido in parte del vino della cantina, per cui il valletto del conte di Turenne si 'ustionò terribilmente' la bocca": sebbene non faccia parte della storia inglese, pure questo aneddoto non ha correlazioni con il testo;
- p. 860 nota * “Nel 1818, l'ex soldato bonapartista Marie-André Cantillon tent di assassinare Wellington mentre stava rientrando in carrozza nella sua residenza ...”;
- p. 861 note * “Per valutare a quali conseguenze portava essere costretti a vivere con metà del salario, si può ricordare la palese bramosia di riprendere la guerra contro la Francia provata da Horatio Nelson...”: l'autore non inserisce mai notizie dei soldati degli altri eserciti della Coalizione;
- p. 895 “(Napoleone) non era preparato per un maestro di tattica del calibro di Wellington, il quale, per di più, non aveva mai perso una battaglia”: ora, non so voi, ma non mi sembra molto imparziale.
Aggiornamento: modificata l'impaginazione. (Aggiornato il 22/12/2020)