In questa clausura forzata dettata dal Corona virus che stiamo vivendo, quale modo migliore di passare la quarantena se non leggendo un libro? Ebbene ho scelto oggi di parlarvi di Lucrezia Borgia. Secondo documenti e carteggi del tempo edito nel 1874 da Ferdinand Gregorovius e ripubblicato dalla Newton Compton nel 2004 col titolo sovrastante.
La trama in questo caso è superflua, dato che non si tratta di un romanzo bensì di un trattato. Perciò ne risulterebbe semmai un sunto della sua vita, cosa che mi accingo in breve a fare.
Lucrezia Borgia nacque a Roma il 18 aprile 1480, figlia naturale del cardinale (poi papa) Rodrigo Borgia e della sua amante Vanozza Catanei, nonchè sorella del ben più noto condottiero Cesare. Passò quasi tutta la sua infanzia nel Borgo Vaticano e quando il padre assise al trono di Pietro, entrò nei giochi di potere della famiglia diventando prima Signora di Pesaro nel 1493, poi duchessa di Bisceglie nel 1498 e infine duchessa di Ferrara nel 1501, la quale rimase fino alla fine della sua vita avvenuta il 24 giugno 1519.
Caro lettore, sicuramente appena avrai letto il suo nome, qualche ricordo della figura di questa donna del Rinascimento ti sarà riaffiorato alla mente e quindi ti domando: qual è la prima cosa che hai ricordato?
Di certo non saranno state lusinghe e, quasi sicuramente, ti saranno apparsi pensieri abietti e poco rispettosi. Forse l'avrai definita usando una parola iniziante per T, nome di una nota città antica, oppure con il suo sinonimo dall'iniziale P. Ebbene non potrei fartene una colpa perché, purtroppo, questo giudizio dissacratorio ci perviene in retaggio da una lunga e secolare calunnia perpetrata prima dai suoi nemici e poi, essendosi radicata, mitizzata da scrittori e commediografi; non ultimi Hugo e Donizetti.
Tutto ciò che sai, che sappiamo, però è falso. Perché questa donna, la cui unica colpa fu di essere figlia di un papa, non percorse mai la strada degli avvelenamenti, né dell'avidità e tantomeno dell'incesto. Questo è di fatto l'argomento edotto nel presente saggio e lo scopo ultimo con cui l'autore, Ferdinand Gregorovius, lo scrisse come da lui stessa ammissione nella premessa introduttiva: lavare l'infamia subita da questa donna.
Prima di continuare però, sarà meglio fare una distinzione. Infatti essendo l'autore tedesco, il presente testo è stato ovviamente tradotto; pertanto suddividerò la recensione in due parti: nella prima tratterò puramente del testo e dell'autore, nella seconda mi concentrerò sulla traduzione e sui documenti presenti. Ma vedrai che sarà breve.... la seconda parte.
IL TESTO
Per quanto riguarda la composizione, bisogna dire innanzitutto che il suddetto non è un saggio, nella cui collana lo ha riposto la casa editrice italiana; semmai una monografica ragionata. Difatti Gregorovius il quale, a discapito del cognome latineggiante da lui stesso modificato, era un ferreo prussiano di origini polacche, in questo trattato ripercorre le tappe della vita della sfortunata Lucrezia, cercando di dimostrare con documenti e fonti (editi e inediti) come la sua persona sia stata calunniata nel corso della sua esistenza e anche negli anni e secoli successivi. Purtroppo però, il suddetto autore non si esime dall'aggiungere anche commenti personali contro questo o quel personaggio (o riguardo un avvenimento), senza quindi preoccuparsi di rimanere del tutto imparziale. In particolare, al lettore non sfuggiranno le sottili ingiurie contro la Chiesa e il Papato e, all'opposto, le lodi alla religione protestante e alla Riforma. Ne sono la prova questi due passi (i grassetti sono miei):
Lucrezia Borgia nacque a Roma il 18 aprile 1480, figlia naturale del cardinale (poi papa) Rodrigo Borgia e della sua amante Vanozza Catanei, nonchè sorella del ben più noto condottiero Cesare. Passò quasi tutta la sua infanzia nel Borgo Vaticano e quando il padre assise al trono di Pietro, entrò nei giochi di potere della famiglia diventando prima Signora di Pesaro nel 1493, poi duchessa di Bisceglie nel 1498 e infine duchessa di Ferrara nel 1501, la quale rimase fino alla fine della sua vita avvenuta il 24 giugno 1519.
Caro lettore, sicuramente appena avrai letto il suo nome, qualche ricordo della figura di questa donna del Rinascimento ti sarà riaffiorato alla mente e quindi ti domando: qual è la prima cosa che hai ricordato?
Di certo non saranno state lusinghe e, quasi sicuramente, ti saranno apparsi pensieri abietti e poco rispettosi. Forse l'avrai definita usando una parola iniziante per T, nome di una nota città antica, oppure con il suo sinonimo dall'iniziale P. Ebbene non potrei fartene una colpa perché, purtroppo, questo giudizio dissacratorio ci perviene in retaggio da una lunga e secolare calunnia perpetrata prima dai suoi nemici e poi, essendosi radicata, mitizzata da scrittori e commediografi; non ultimi Hugo e Donizetti.
Tutto ciò che sai, che sappiamo, però è falso. Perché questa donna, la cui unica colpa fu di essere figlia di un papa, non percorse mai la strada degli avvelenamenti, né dell'avidità e tantomeno dell'incesto. Questo è di fatto l'argomento edotto nel presente saggio e lo scopo ultimo con cui l'autore, Ferdinand Gregorovius, lo scrisse come da lui stessa ammissione nella premessa introduttiva: lavare l'infamia subita da questa donna.
Prima di continuare però, sarà meglio fare una distinzione. Infatti essendo l'autore tedesco, il presente testo è stato ovviamente tradotto; pertanto suddividerò la recensione in due parti: nella prima tratterò puramente del testo e dell'autore, nella seconda mi concentrerò sulla traduzione e sui documenti presenti. Ma vedrai che sarà breve.... la seconda parte.
IL TESTO
Per quanto riguarda la composizione, bisogna dire innanzitutto che il suddetto non è un saggio, nella cui collana lo ha riposto la casa editrice italiana; semmai una monografica ragionata. Difatti Gregorovius il quale, a discapito del cognome latineggiante da lui stesso modificato, era un ferreo prussiano di origini polacche, in questo trattato ripercorre le tappe della vita della sfortunata Lucrezia, cercando di dimostrare con documenti e fonti (editi e inediti) come la sua persona sia stata calunniata nel corso della sua esistenza e anche negli anni e secoli successivi. Purtroppo però, il suddetto autore non si esime dall'aggiungere anche commenti personali contro questo o quel personaggio (o riguardo un avvenimento), senza quindi preoccuparsi di rimanere del tutto imparziale. In particolare, al lettore non sfuggiranno le sottili ingiurie contro la Chiesa e il Papato e, all'opposto, le lodi alla religione protestante e alla Riforma. Ne sono la prova questi due passi (i grassetti sono miei):
La vita di questa celebre duchessa (Renata di Francia, n.d.r) costituisce un importante episodio nella storia di Ferrara. Essa fu seguace entusiasta di quella Riforma, che finalmente penetrò nel mondo, intesa ad emancipare lo spirito da una Chiesa, a capo della quale erano stati i Borgia, i Della Rovere e i Medici.
Eppure non deve far meraviglia trovare un pronipote di Alessandro VI sotto l'abito dei Gesuiti. La stessa demoniaca energia di volontà, per la quale i Borgia si erano segnalati, animava pure il loro compatriota Loyola, benché sotto altra forma e rivolta a diverso scopo.
Eppure non deve far meraviglia trovare un pronipote di Alessandro VI sotto l'abito dei Gesuiti. La stessa demoniaca energia di volontà, per la quale i Borgia si erano segnalati, animava pure il loro compatriota Loyola, benché sotto altra forma e rivolta a diverso scopo.
Tuttavia, sebbene in queste poche righe si possa notare come l'autore sia mosso da un fervore anti-papista, pare incredibile che l'unica figura elogiata in quella demoniaca famiglia sia proprio Lucrezia. D'altronde durante la lettura ti accorgerai come via via si profili l'affetto e la compassione che Gregorovius provava nei confronti della sua storia e del suo passato travagliato. Qui si può notare un esempio:
È mai possibile leggere tutte quelle graziose poesie, e pensare ancora che gli autori potessero scriverle, ritenendo Lucrezia realmente colpevole di quei delitti, di cui il Sannazzaro non aveva tralasciato di accusarla anche dopo la morte del padre?
I documenti, che hanno fornito i materiali a questo libro, pongono ogni lettore in grado di formarsi un giudizio su Lucrezia Borgia. Questo sarà forse approssimativamente giusto o per lo meno più giusto di quello ormai tradizionalmente accettato.
I documenti, che hanno fornito i materiali a questo libro, pongono ogni lettore in grado di formarsi un giudizio su Lucrezia Borgia. Questo sarà forse approssimativamente giusto o per lo meno più giusto di quello ormai tradizionalmente accettato.
Bisogna però sottolineare la difficoltà per l'autore nel ricostruire la personalità di Lucrezia e nel difenderne la memoria, in quanto i suoi detrattori e lodatori non scrissero simultaneamente. Il problema infatti giace nel fatto che: gli accusatori e le accuse di Lucrezia non possono riferirsi che al periodo della sua vita in Roma; e gli ammiratori non si mostrano che nel secondo periodo, quando era duchessa di Ferrara. (…) Essi – si riferisce agli ammiratori – rendono tutti testimonianza dell'onoratezza di quella durante il periodo di Ferrara, ma non del suo passato in Roma. Perciò il difensore di Lucrezia non può attingere da loro che prove negative (del periodo romano, n.d.r). A lui convien dire che personaggi nobili, come l'Aldo, il Bembo, l'Ariosto, (…) non potevano esser mai tanto impudenti da magnificare una donna (…), se l'avessero stimata colpevole o anche capace soltanto di quelle turpitudini, nelle quali poco innanzi era incorsa (richiama qui le suddette calunnie, n.d.r). In tal caso l'Ariosto stesso diventerebbe per noi un uomo abominevole.
Lo stesso dicasi per i calunniatori, che per altro, non risiedevano neppure in Roma bensì nella corte Aragonese napoletana, il cui odio per i Borgia era ben radicato. Quindi il giudizio non solo era “pilotato” o influenzato dal contesto, bensì anche avanzato in base a voci e pettegolezzi. L'unico che avrebbe potuto consegnarci un'impressione neutrale e dettagliata della vita e del comportamento di Lucrezia e della famiglia in quel momento storico, il Burkhard, decise di riportare solo i fatti e di non invischiarsi dei gossip e degli avvenimenti “collaterali” accorsi in seno al Vaticano. E pure i fatti sono stati “ripuliti”, come sostiene l'autore (lui usa il termine velati).
Si capisce quindi come chiunque voglia scrivere o studiare questa donna, si trovi in difficoltà a causa della mancanza di fonti parallele controbilanciate. Malgrado ciò, non bisogna fare l'errore di pensare che la descrizione di Lucrezia fornita dall'autore si basi unicamente sulle lodi e sia quindi improntata sul trasporto che questi ebbe per la duchessa. Perché Gregorovius, da bravo storico, ha anche verificato tanto le calunnie quanto gli elogi, ridimensionandoli: la falsità delle denigrazioni viene provata mediante documentazione esterna alle persone coinvolte (tra queste dispacci e lettere di diplomatici stranieri), che smentiscono tali voci; mentre le lodi sono suddivise tra veritiere (come il Bembo) e mera adulazione, sempre con comprovate fonti.
Perciò il prussiano è riuscito, a mio avviso, nell'intento di smacchiare la reputazione di Lucrezia e a fornirci un'immagine più limpida di come sia i suoi contemporanei che i posteri la dipinsero.
Tenendo presente quanto appena spiegato, Gregorovius si pone (e la rivolge anche al lettore) una domanda assai fondamentale: com'è possibile che su una donna come Lucrezia Borgia, al centro della scena europea internazionale in un periodo così travagliato sia per il Continente che per l'Italia stessa, non ci sia pervenuto nulla di scritto né di artistico? Di ritratti di Lucrezia non esiste nemmeno l'ombra, se non qualche sporadica e azzardata ipotesi (come il presunto volto del Pinturicchio in Vaticano o il quadro di Bartolomeo Veneto) o la sua immagine presente su un medagliere, forse opera di Filippino Lippi. Anche la produzione letteraria è scarsa, in quanto ci rimangono poche lettere scritte di suo pugno o da altri che la riguardassero; mancano poi poesie, commedie, trattati e quanto altro specie per il periodo romano. Come mai? Questo è un quesito che forse non troverà mai risposta, perchè sembra impossibile che in una città piena di artisti (tanto Roma quanto Ferrara), con i quali Lucrezia direttamente o indirettamente entrò in contatto (Alessandro VI, Cesare e Alfonso d'Este promossero le arti di cui erano estimatori), non ci siano tracce di lei. Probabilmente, ma questa è solo una personale congettura, Lucrezia subì una sorta di damnatio memoriae causata proprio da quelle calunnie infondate di cui si parlava. Eppure c'è sempre la possibilità che qualche egloga, qualche verso poetico sia ancora celato nelle profondità di qualche archivio; speranza questa condivisa dall'autore.
Tornando al libro, ripeto quanto detto in precedenza e cioè che sì, Gregorovius è riuscito a ripulire l'immagine di Lucrezia Borgia, eppure non è risultato troppo incisivo. In molte parti perde i binari del racconto e si dilunga troppo su avvenimenti e personaggi secondari, quali altri membri della famiglia Borgia (specie le imprese di Cesare) o in relazione alla stessa (vedi i Farnese, i poeti ecc..). Una possibile giustificazione per tale scelta è possibile riscontrarla nella già citata mancanza di fonti e poi per la vita poco movimentata che Lucrezia dovette condurre a Roma. Colgo qui l'occasione per chiarire un aspetto.
Mi sono soffermato spesso sulla Città Eterna perché, per ammissione dello stesso Gregorovius, questi ha volutamente posato l'attenzione su quel periodo che non è mai stato trattato, rimanendo invece più “superficiale” sulla vita di Lucrezia in Ferrara, poiché all'epoca era già stata descritta ampiamente. Quindi è totalmente errato e futile il commento del professore Ludovico Gatto nella sua introduzione, nel quale accusa il prussiano di non aver trattato avvenimenti salienti della storia ferrarese durante gli ultimi anni di vita della donna. È pur vero però, che la sua morte risulta “modesta e dimessa” e su questo concordo con il professor Gatto: Gregovorius non le rende troppo giustizia.
LA TRADUZIONE
Passando ora all'aspetto formale del trattato, la prima cosa che devo sottolineare è la quantità inaudita di errori grammaticali e ortografici presenti, la cui colpa è solo ed esclusivamente del traduttore: Alberto Maria Arpino. Quasi in ogni pagina ve n'è uno e ciò spiace perché rovina il lessico e la sua forma; difatti il traduttore e l'editore hanno deciso di imitare un italiano moderno, dove moderno vale a tratti per ottocentesco e per (a noi) contemporaneo.
Personalmente non approvò questa scelta perché il risultato è abbozzato e sgradevole. Si vede (e si legge) che il traduttore ha voluto inserire qualche termine prettamente ottocentesco, solo per rendere più aulico il racconto e per dare una sensazione di contemporaneità al libro. Però l'effetto è alquanto acerbo sia per l'enorme valanga di errori, sia per la sostituzione illogica di tali termini, in particolar modo nella trascrizione dei documenti annessi (invece di mantenere quelli originali, li ha tradotti e viceversa). Sui quali d'altronde sarebbe da stendere un velo pietoso, perché il suddetto Arpino ha osato tradurre vocaboli sia dal latino sia dal volgare (presente nell'originale) adattandoli al nostro tempo, spesso creando confusione (vedi il caos tra i nomi volgarizzati di Valenza sia per Valencia che per Valence). Errore madornale giacché, quando si trattano fonti antiche, bisogna citarle fedelmente e non prendersi licenze poetiche (ma questo vale anche per testi odierni). A nulla serve quindi la giustificazione nella nota 2 del Capitolo Secondo, in cui Arpino si cerca di discolpare da queste inesattezze, argomentando la difficoltà nel reperire le fonti originali. Una giustificazione alquanto patetica dato che lo stesso Gregorovius cita le locazioni delle fonti e, oltretutto, è possibile reperirne la versione tedesca online.
E infatti, proprio andando a cercare l'originale e mosso da un sospetto (instillato dai suddetti errori), mi sono accorto che pure i documenti (di cui, peraltro, esiste un elenco nella versione tedesca, omesso nell'edizione italiana) sono stati trascritti male o modificati nella forma, così come le citazioni in latino presenti nelle note del testo. Passino pure le modifiche allo stile delle fonti, attuate per migliorare la leggibilità, però non posso sorvolare sulle citazioni, perché si tratta proprio di un cambiamento nel lessico. Se il traduttore l'avesse fatto con l'intenzione di correggere l'autore, ebbene avrebbe dovuto quantomeno scriverlo in una nota a margine; inutile dire che non è presente.
Pertanto il testo necessita di una attentissima revisione e correzione, al seguito delle quali sicuramente la traduzione risulterà innanzitutto fedele all'originale e soprattuto più scorrevole e corretta.
Grazie lettore per esser giunto fin qui. Ti lascio con l'appuntamento per una futura recensione, sperando nel frattempo che la Newton Compton rimedi agli errori.
A presto!
Aggiornamento: modificata l'impaginazione. (Aggiornato il 22/12/2020)