Altro che Something like Summer
Iniziamo con una definizione. Come definire questo film? Un film gay? un film “datato” (nel senso che si svolge in anni non contemporanei a noi)? Una commedia? Io lo definirei un film riflessivo, perché porta lo spettatore a farsi delle domande, a rispondere a quelle poste dai personaggi e sopratutto a riflettere sulla morale che vi è dietro.
Pur essendo ambientato nell'estate italiana degli anni '80 in un luogo non ben precisato (ma si capisce fin da subito che ci si trova nel cuore della pianura lombarda, per la precisione a Crema e dintorni), questa storia potrebbe essere decisamente attuale e attualizzata. I temi toccati sono pressoché gli stessi di sempre (crescita interiore, adolescenza, rapporto genitori-figli, amore, dolore, presa di coscienza ecc …), ma a rendere questo film interessante, emozionante e anche educativo per certi versi è il modo in cui è stato diretto e narrato. Luca Guadagnino ha senz'altro espresso alla perfezione tali argomenti e punti di vista che potrebbero sembrare scontati se presi separatamente portando chiunque, anche la persona più intransigente, ad appassionarsi e a (tentare di) aprire la propria mentalità, nonché a porsi delle domande (sempre che non siate dei bigotti coi paraocchi, ovviamente). In breve viene illustrata una lezione di vita e sei tu, spettatore, a doverla recepire. In tal senso lo trovo molto istruttivo per i ragazzi di oggi coetanei del protagonista; andrebbe mostrato loro perché da un lato fa capire quanto sia essenziale non tenersi dentro certe emozioni, certi sentimenti che potrebbero essere importanti e dall'altro perché insegna a vivere, a vivere le suddette emozioni e ogni istante della propria vita con gioie e dolori inclusi.
Forzarsi a non provare niente, per non provare qualcosa... che spreco.
Si potrebbe quindi definirlo anche film filosofico... ma tranquillo lettore, non è lectio magistralis di Marzullo. Per quanto poi l'anima arcobaleno della storia sia evidente, non mi sentirei comunque di definirlo film gay solo per la presenza di due uomini; fosse stata una coppia etero non sarebbe cambiato nulla, ma veramente nulla, nemmeno il monologo del padre. Quest'ultimo, poi, è forse il vero motivo a sostegno della valenza educatrice della trama, perché espone nozioni e insegnamenti davvero significativi e nel caso lo spettatore riuscisse a comprenderli e a farli propri, allora giungerà alla conclusione menzionata poc'anzi: ossia che queste lezioni di vita sono rivolte a tutti, senza alcuna distinzione di orientamento sessuale o di genere.
Tuttavia, per quanto il sottoscritto stia elogiando la sceneggiatura e la regia che bisogna ammettere, è davvero spettacolare, avrei comunque delle critiche da sottolineare. In particolare ho trovato certe scene superflue e alcune addirittura insensate; onestamente non ne ho compreso il significato e sopratutto la valenza ai fini della storia (es: quella delle mutande nel bagno e quella del “servizietto” con la conseguente battuta). A ciò si aggiungono il doppiaggio e la caratterizzazione del personaggio di Oliver: del primo caso evidenzio soprattutto la parlata dialettale (forse bergamasco?) della governante che risulta ostica, al punto da essere necessaria una traduzione per capire cosa sta dicendo (peggiorata anche dal tono troppo basso di voce); inoltre col doppiaggio stesso si perdono certi dettagli e certe situazioni che risultano appiattite, per esempio quando Oliver tenta di parlare in italiano. Questo lo si capisce (oltre che dal labiale) soprattutto dalla gestualità; che poi vorrei sapere perché quando gli statunitensi devono parlare italiano o imitarci, iniziano a gesticolare senza motivo... mah. Personalmente avrei preferito lasciargli almeno un finto accento inglese, così da rendere ancor più realistica la storia o ancor meglio creare un misto doppiaggio tra italiano e inglese; pertanto ti consiglio lettore di guardarlo in lingua originale sottotitolato in italiano piuttosto. Rimanendo su Oliver, tutta la sua storia di fondo non è chiara; ancora adesso che sto scrivendo questa “recensione” mi domando cosa ci fosse andato a fare in quella casa. Era uno studente? Doveva scrivere un libro? Doveva far ricerche? Non è chiaro. Anzi l'idea che ne deriva è semmai quella di un ragazzo statunitense venuto in Italia più per “cazzeggiare” che per motivi seri, quali lo studio. Tolte e/o aggiustate queste piccolezze, il film sarebbe perfetto.
Veniamo allora al cast. Ho letto online vari commenti super positivi riguardanti la bellezza di uno dei protagonisti, Timothée Chalamet ma onestamente non ho trovato nulla di eccezionale. Ha un bel profilo classico da statua greca, questo sì, ma in fatto di bellezza preferisco l'altro protagonista, Armie Hammer (fosse stato depilato, sarebbe stato ancora più figo). Ovviamente essendo “la bellezza negli occhi di chi guarda”, il mio è un commento totalmente soggettivo, però un giudizio positivo su entrambi gli attori lo riservo per quanto concerne la recitazione del proprio ruolo: Timothée interpreta un adolescente introverso, schivo, con tutti i problemi e dubbi di quell'età, diverso per certi aspetti dai suoi amici e coetanei, con una spiccata abilità nel suonare il pianoforte (e bisogna fare i complimenti all'attore qui), benché in qualche sequenza ha delle espressioni vacue, da sognatore a occhi aperti. Il suo personaggio mi è piaciuto molto per come è stato descritto e rappresentato, eppure non ho apprezzato una sua battuta e quindi, per estensione, dello sceneggiatore: quando si trovano davanti a una foto di Mussolini e lui dice “Questa è l'Italia”. Un commento che mi ha fatto non poco innervosire provenendo da uno statunitense, ma che forse rispecchia buona parte dell'elettorato di oggi... purtroppo. Armie Hammer invece dovrebbe essere uno studente universitario del New England. Uso il condizionale perché in realtà dimostra più anni di quanti dovrebbe avere; tuttavia, siccome all'epoca (ricordo che sono gli anni '80) anche gli universitari sembravano più maturi (alias vecchi) di quanto non fossero, alla fine è in linea con lo stile del tempo. Come molti altri aspetti del film, ma su questo ci ritornerò. Ciò che invece interpreta alla perfezione è la classica spavalderia e sbruffonaggine degli yankees, per altro sottolineata proprio da una battuta di Elio, nonché questo fare di superiorità macchiata di razzismo (come il “Figuriamoci, è francese”). In ogni caso il suo personaggio è ambiguo, indefinito, a tratti buffo e spensierato e a volte violento e autoritario. Ci sono dei cambi di umore in entrambi i protagonisti che non trovano una giustificazione, forse solo in Elio a cui si potrebbe incolpare lo scombussolamento ormonale dell'adolescenza.
Al fianco di questi due attori vi sono poi Michael Stuhlbarg e Amira Casar (già vista in Versailles) nella parte dei genitori di Elio, Samuel e Annella. Benché abbia una parte che definirei insignificante, ho apprezzato molto l'impronta lasciata dall'attrice nell'interpretare il proprio ruolo, a metà tra la borghese nobilitata e una bohémienne colta ma affatto snob, così come lo è il marito professore (la casa è foderata di libri, che si trovano ovunque). In questo film infatti chi ha un peso più evidente nella vita di Elio è il padre. Fin da subito Michael Stuhlbarg mi ha ricordato Robin Williams in molti ruoli drammatici/seri, sia per la mimica e il metodo recitativo sia per il modo in cui ha interpretato il proprio monologo nella scena con Timothée. Questa è stata una delle più belle in assoluto perché si tratta di un dialogo padre-figlio come pochi si son visti al cinema (per non dire nessuno), incentrato sul pensiero ragionato in un mix e decantato a cuore aperto. Non è solo noiosa e banale retorica, bensì una lezione di vita che molti padri dovrebbero (e avrebbero dovuto) impartire ai propri figli.
La storia è quindi una classica avventura di un'estate italiana dell'entroterra, spesa tra nuotate e giochi al fiume e pomeriggi riposanti (e un filo monotoni) all'ombra di qualche albero o distesi sui prati: in breve la solita estate che molti di noi potremmo trascorrere. Non la chiamerei storia d'amore perché qui l'elemento Amore è secondario, essendo focalizzata per lo più sul rapporto caotico tra due persone sconosciute di diversa provenienza, che imparano a conoscersi e su due crescite interiori differenti: quella di Elio quale processo dell'adolescenza, che lo porta non a capire chi sia in realtà da un pdv sessuale, bensì a conoscere i propri sentimenti e a esplorarli senza troppe paranoie; quella di Oliver per una presa di coscienza di sé più matura e le responsabilità che ne derivano. È un continuo studiarsi a vicenda che ha, solo come conseguenza, il vivere appieno le proprie emozioni. Infatti quando l'amore sboccia, non viene rappresentato con l'irruenza delle banali e classiche riprese cinematografiche (per intendersi quelle dove la tensione sessuale è così alta da esplodere in uno scontro supersonico di due corpi), bensì permane nel contesto riflessivo-filosofico con queste parole dette e non dette; la dichiarazione d'amore (o d'interesse) è quindi sottintesa e si esprime in uno scambio di domande. L'effetto finale è molto interessante.
A rendere ancora più magica e appassionante la storia è l'atmosfera di tempi andati e le inquadrature di luoghi meravigliosi. La costumista (italiana) e lo scenografo sono stati spettacolari nel ricreare le ambientazioni e i colori di trent'anni fa: gli abiti, le auto, le bici, la corriera delle Auto Guidovie Italiane, l'orologio da polso che non funziona, il barattolo del Nesquik, il mangiacassette. La scena che però più di tutte rappresenta quelle estati rimasta, in parte, ancora oggi in qualche paesino è quella del bar con le tendine di pelo, i Chupa chups sul bancone e gli immancabili vecchietti che giocano a carte. Durante la visione del film si respirano a polmoni pieni, proprio, gli anni '80. E poi ci sono le riprese fantastiche dei paesaggi, specialmente la cascata con quel gioco di inquadrature. Bisogna fare solo elogi a Luca Guadagnino per la sua regia. Inoltre ho trovato interessante l'uso delle polaroid con oggetti d'arte nei titoli di testa, però il giallo nel font non è stata una grande idea. Forse l'unica pecca, oltre quelle già citate in apertura, riguarda il finale un po' brutto e spiazzante. Ma di questo bisogna incolpare lo sceneggiatore più che il regista, così come per la telefonata dall'argomento un po' banale. Ma vabbè, son quisquilie.
Ricapitolando è un film da consigliare? Assolutamente! Dovendo fare una media tra la regia (con scenografia, costumi ecc...) e la sceneggiatura, direi che è un'ottima opera cinematografica ma non perfetta. Va bene per trascorrere una bella serata davanti al caminetto e se siete con il vostro compagno/a ancora meglio... ci fossero anche figli di mezzo, allora sarebbe il top!
Quindi guardalo, caro lettore, appena ne hai l'occasione perché merita.
A presto.
Valutazione finale: 😋😋😋😋
P.S: il film è tratto dal libro omonimo di André Anciman che compare in un cameo nel film. Sapresti indovinare di chi si tratta SENZA andare a cercarlo su Internet? La sfida è lanciata.