Un film molto criticato
New York, 28 giugno 1969. Fuori dallo Stonewall Inn una folla di persone sta scagliando oggetti contro la locanda di Christopher Street; dentro, un mucchio di poliziotti si sta barricando alla bell'e meglio aspettando i rinforzi.
New York, 3 mesi prima. Un ragazzo proveniente dall'Indiana, Danny Winters (Jeremy Irvine), arriva in città in vista dell'ammissione all'università Columbia. Cacciato dalla famiglia perché omosessuale, non ha un posto dove andare ma l'incontro con Ray (Jonny Beauchamp) sarà provvidenziale.
Infuriato per i suoi scheletri passati e per le delusioni ricevute, nei tre mesi di permanenza nella Grande Mela Danny si rende conto che dialogare con le forze dell'ordine e le autorità è diventato inutile. A seguito dell'ennesima retata della polizia, colpevole di azioni punitive e di un comportamento oltraggioso a cui assiste sconvolto, la rabbia di Danny esplode.
Quando uscì il trailer, pensai che si trattasse di un film storico o quantomeno avesse una forte valenza culturale e memorialistica, che mi avrebbe aiutato a capire meglio i fatti accorsi. Però non era tanto attrattivo da pensare “ok, lo devo vedere subito”, così lo snobbai un po' e presto finì nel dimenticatoio. Me ne sono ricordato rivedendo The Normal Heart lo scorso dicembre e così ieri sera ho pensato di spuntarlo dall'elenco. Per quanto la storia sia molto bella e interessante, le mie aspettative sono state deluse, essenzialmente per due ragioni:
- non possiede la connotazione storica ed educativa che mi aspettavo dal titolo;
- non è incentrato sui moti di Stonewall.
Un “però” nell'aria c'è. Non si tratta di una critica, quanto più una riflessione personale sulla veridicità dei fatti narrati. Mi spiego. Ho detto dall'inizio che questa è una storia inventata basata su eventi successi veramente. Ma le scelte del regista e dello sceneggiatore hanno insinuato qualche dubbio nella mia testolina. So già che quanto sto per dire sarà considerata un oltraggio da parte di molti, ma nel modo in cui è stato diretto sembra che le retate della polizia fossero giuste e che il vice detective Seymour Pine avesse ragione: se il locale era gestito (come lo fu) dalla mafia che contrabbandava droga e alcolici, allora le retate erano necessarie. Ciò che fu sicuramente sbagliato, furono gli atti punitivi gratuiti della polizia (mossi dall'odio e dall'omofobia) e le ingiuste leggi federali anti-omosessuali che riportarono l'America agli anni Venti. Però se sono giunto a questa conclusione, è proprio a causa della mancanza di concrete spiegazioni e delle giuste “sottolineature” riguardanti gli aspetti realmente accaduti: detta in breve, non si capisce come ci si arriva a quel punto, perché il regista ha preferito attirare l'attenzione su altro. Prima di continuare permettetemi una piccola parentesi. Potete saltarla se volete, riprendendo dal prossimo paragrafo.
Come ho detto, negli anni '50-'60 furono emanate tutta una serie di leggi discriminatorie che a parità di rilevanza giuridica erano simili a quelle contro gli afroamericani. Una di queste riguardava la vendita di alcol agli omosessuali e l'assunzione degli stessi in impieghi statali. Non potendo gli omosessuali essere proprietari di bar e locali vari, queste attività erano gestite dalla mafia, che facevano i soldi vendendo illegalmente alcol ai frequentatori lgbt e con un vasto giro di prostituzione (proprio come al tempo di Al Capone). Purtroppo protagonisti di questo circolo vizioso erano spesso molti adolescenti omosessuali (in particolare maschi) che vivevano “in strada” dopo essere stati cacciati e abbandonati dalla propria famiglia. Come se non bastasse, oltre alle leggi discriminatorie, l'omosessualità (in tutte le sue forme) era illegale in 49 stati americani e considerata una “malattia mentale” del quale i ragazzi erano avvertiti e allarmati con tanto di propaganda (venne eliminata dall'International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death dell'OMS solamente il 17 maggio 1990).
Tornando alla pulce nell'orecchio, che le retate fossero giuste o meno non ha importanza perché ciò che è davvero importante è la maniera in cui vengono fatte le cose. Un'ispezione è giusta se il fine è nobile e se il comportamento dei poliziotti è corretto: se questi non picchiassero ripetutamente, non insultassero, non compiessero atti di odio, allora i clienti o i frequentatori (chiunque essi siano) non farebbero resistenza e non reagirebbero. Ma allo Stonewall Inn e in molti altri locali, la polizia non si limitava a porre domande e a controllare i documenti. Perciò si può ben capire perché molti uomini e donne ad un certo punto si siano stufati delle violenze e abbiano deciso (giustamente) di reagire. (E non pensiate che siano cose del passato: prima delle Olimpiadi di Sochi del 2014, in Russia si verificò un episodio simile, con retate e pestaggi). Il raid del 28 giugno fu solamente uno dei tanti, ma l'esasperazione era giunta a un limite tale che ormai non era più possibile da sopportare. Molti hanno ipotizzato che anche l'aggressione di una donna, malmenata e spinta a forza nella volante, fosse il motivo scatenante la forte ribellione ma ciò non è stato particolarmente enfatizzato nel film. Ecco perché questo film oltre a essere stato scritto male, dal pdv storico è una schifezza. Inoltre molte critiche sono giunte anche dalle comunità lgbt, che hanno accusato il regista e lo sceneggiatore di aver compiuto un'opera di whitewashing, ossia di aver dato preminenza all'etnia bianca, quando in realtà il locale era frequentato per la maggior parte da latinoamericani e afroamericani. Per chi volesse approfondire, lascio il link di un articolo esaustivo.
La chiudo qui, perché non ho altro da dire. Mi ripeto ancora una volta: spogliato delle aspettative memorialistiche e ricondotto a mera commedia, il film è anche bello da vedere.
Con questo è tutto!
Alla prossima e... buon anno!
Valutazione finale: 🤐🤐