Quando si dice l'amore di una madre
Il film narra la storia di due gemelli eterozigoti: Peter (Ed Helms), un proctologo divorziato con un figlio a carico che non lo sopporta, e Kyle (Owen Wilson) un'ottimista sfaccendato che vive di rendita grazie ai proventi di una pubblicità. Nel giorno del suo matrimonio, la madre (Glenn Close) confessa ai figli di aver mentito sull'identità del loro defunto padre. Inizia così per i due fratelli un viaggio lungo la Est Coast alla ricerca del loro vero genitore.
In questa recensione, come già in altre, sarò molto breve perché questo film non mi ha entusiasmato più di tanto. È vero che la presenza di Owen Wilson è sempre sinonimo di risate assicurate, tuttavia in questa storia di ilarità ce ne sono ben poche. Con questo non sto dicendo che si tratta di un film triste, ma che le battute e le gag sono un tantino scarse. Mi soffermo un attimo sulla trama.
L'idea base, il fondamento della plot è un che di scontato, di banale e già visto: una madre che non sa chi sia il padre dei propri figli perché (e pure la motivazione è già stata ampiamente usata) “erano gli anni '70, tutti erano fatti e scopavano e tutti frequentavano lo Studio 54”; anche il famoso locale newyorchese non manca mai di essere citato ogni qualvolta si parla dei favolosi anni Settanta. Questa tematica è già stata spesso impiegata (quantomeno come citazione) sia nel cinema (es: in Austin Powers) che in televisione: in Ugly Betty, per esempio, è il tema centrale della “storia B” di Amanda per tutta la seconda stagione. Perciò in fatto di originalità proprio non ci siamo; che poi mi viene spontaneo chiedermi: è mai possibile che in quel periodo fosse popolare solo lo Studio 54? Non ce ne sono altri da menzionare? L'elemento traente del film è quindi l'avventura dei due fratelli e le dinamiche che si vengono a sviluppare, con le poche gag presenti.
Per quanto riguarda il cast elogio l'interpretazione di Glenn Close che è riuscita a non ricordarmi la perfida Crudelia, seppur ha avuto un ruolo marginale (e per questo non ha eccelso come in Albert Nobbs). Le critiche invece le riserbo a Ed Helms, il quale ho trovato insipido, petulante e noioso tanto come figura quanto nella recitazione. Ma sopratutto: chi è? Per coloro che non hanno mai visto (come me) la trilogia di Una notte da leoni (sorvolo sulle motivazioni), Ed Helms è praticamente uno sconosciuto. Al suo posto avrei preferito Ben Stiller, il quale avrebbe saputo caratterizzare meglio il personaggio dandogli più mordente; inoltre in coppia con Wilson fa faville. A peggiorare la condizione di Helms sono le pessime battute affidategli, come per esempio la tecnica di abbordaggio al bar: oltre modo patetica e ancor più pietosa è la donna che gli regge il gioco. Si poteva senza dubbio evitare.
Esprimo invece i miei complimenti al regista Lawrence Sher, al suo primo tentativo in questi panni, per aver compiuto delle scelte molto congeniali specie nelle inquadrature.
Tirando le somme, mi sento di dire che non consiglierei la visione di questo film se non quando proprio non c'è nulla di interessante in televisione o su Netflix/Sky/Infinity (ecc...), oppure quando siete svogliati e il livello di pigrizia è a +100. Apprezzerete però il finale a sorpresa che è davvero sconvolgente... ma non vi dico altro.
Alla prossima!
Valutazione finale: 😐😐😐