La serie che tutti aspettavano
Looking è la storia di tre amici gay che vivono a San Francisco: Patrick (Jonathan Groff), un programmatore di videogiochi e Agustín (Frankie J. Alvarez), un'artista disilluso, sono coinquilini e amici dai tempi dell'università. Invece Dom (Murray Bartlett) è un cameriere quasi quarantenne con il sogno di aprire il proprio ristorante, che vive con la migliore amica Doris (Lauren Weedman). I tre ragazzi dovranno prendere decisioni importanti dettate anche dall'entrata in scena di nuovi amori.
Sarò sincero. Essendo passati quasi due anni (anche tre) dall'ultima volta che la vidi, ho dovuto rinfrescarmi la memoria (ripassandola tutta) perché non mi ricordavo assolutamente nulla della storia.
La serie, ideata da Michael Lennan, è una sorta di Sex And the City al maschile e in versione arcobaleno alla quale però manca una struttura narrativa solida e ben precisa. Mentre il telefilm degli anni '90 si sviluppava attraverso le storie approfondite delle quattro donne (a cui succede di tutto ma seguendo sempre una trama) raccontate dal pdv di Carry, Looking appare come un copione abbozzato e non ancora finito dove l'unico filo tracciato è quello di Patrick. La sensazione infatti è quella di voler riempire dei buchi alla rinfusa con degli avvenimenti casuali e spesso fuori luogo (es: lo spaccato su Doris). Spiego meglio: tralasciando Patrick e i suoi dilemmi amorosi, gli sceneggiatori non hanno prestato uguale attenzione ad Agustín, preferendo metterlo in secondo piano dandogli un profilo basso. Un po' come quando non hai voglia di mangiare il purè e inizi a giocarci distrattamente con la forchetta; lo stesso vale per l'artista la cui rilevanza è collegata all'esistenza paranoica del suo migliore amico (almeno nella prima stagione). Anche Dom nella prima serie non ha molto risalto, tuttavia nella seconda la sua storia prende più corpo.
Sotto questo aspetto, dunque, Looking è stato realizzato davvero male e l'unico motivo per cui si continua a seguirla è la vita incasinata di Patrick. Perlomeno questo è quanto successo al sottoscritto.
Un altro aspetto che non mi è piaciuto è la presenza persistente della droga. A differenza delle scene di sesso, che sì sono presenti ma non così tanto e non in maniera preponderante come in Queer as Folk, gli sceneggiatori hanno voluto dare molta visibilità alle sostanze stupefacenti in ogni loro forma (essenzialmente spinelli, ecstasy chiamata “Molly” da molecule in quanto la parte più pura della MDMA, pastiglie varie, GHB ecc...), quasi non si potesse vivere senza. È bene ricordare che in California è consentito solo l'uso della marijuana a livello personale, il quale è comunque severamente regolamentato dalle leggi (uso solo in casa, non in posti pubblici, tot di grammi consentiti ecc). Pertanto l'assunzione di droghe pesanti resta ancora (fortunatamente) illegale. Per questo motivo trovo errato questa sua assidua rilevanza nel telefilm, perché dà un messaggio sbagliato sia a livello educativo sia a livello ricreativo: cioè se non ti droghi non ti diverti?!? Lo stesso può dirsi dell'alcool, su cui tuttavia ho delle riserve dato che le conseguenze in un adulto sono estremamente diverse rispetto a un uso eccessivo di stupefacenti (ciò non vuol dire che dovete bere fino a star male per divertirvi, si può passare belle serate anche senza).
Droga e plot malandata a parte, Looking mi è piaciuto e se fosse stata sviluppata meglio penso che sarebbe stata interessante e sarebbe durata di più. Infatti la HBO decise di cancellarla dopo due stagioni a causa di un ulteriore calo di spettatori (non ha mai avuto grande seguito) ed essendo stata stroncata bruscamente, i (pochi) fedeli fan fecero partire subito una petizione per far cambiare idea ai dirigenti della rete televisiva. E questi gli han dato ascolto, sovvenzionando un film tv che fungesse da finale, di cui parlerò dopo aver riassunto la trama.
A nove mesi di distanza (dalla fine della seconda serie), Patrick torna a San Francisco per un breve weekend in occasione di un matrimonio. Nella sua ex città ritrova i propri amici, Agustín e Dom, che nel frattempo hanno rivoluzionato le loro vite riuscendo (in parte) a realizzare i propri sogni. Tra un tour-revival nei locali frequentati durante i suoi dieci anni californiani e la ricomparsa di vecchie fiamme, il programmatore affronterà un viaggio interiore che lo porterà a riconsiderare le motivazioni della propria partenza e a prendere delle decisioni importanti per il futuro.
Differentemente dalla serie madre non posso dire che il film non mi sia piaciuto, però mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca. Sarà forse per la formula scelta dall'ideatore/sceneggiatore o forse perché lascia delle porte aperte, ma alla fine ti rimane questo senso di indefinito che proprio disturba. Siccome non sarà così limpida la sensazione che voglio trasmettere, cerco di chiarire almeno in parte il mio pensiero. Comincio dal definire la questione della formula.
Sappiamo tutti che i finali dei telefilm fan sempre schifo (trovatemi uno finito veramente bene e che abbia una trama stupenda da 10 e lode), per le aspettative troppo alte o per una storia scritta alla rinfusa giusto per tagliare corto. In questi casi ci sono vari modi per terminare una serie: ad es. c'è un trasloco (che comprende anche un viaggio) o l'addio a una casa/locale, c'è l'elemento vecchiaia o più tecnicamente prolessi (viene mostrato cosa accadrà in futuro, con una progressione graduale), poi l'elemento morte (la morte del protagonista, specie in quelle biografiche), ci sono gli addii strappalacrime e i “tagli-netti” (i protagonisti chiudono la propria avventura in maniera decisa e spariscono), anche i matrimoni sono gettonati come finali ma spesso utilizzati quali climax conclusivi in cui le nozze stesse sono il tema della stagione. Tra questi generi vi è poi il peggiore di tutti, quello alla “Uomo Ragno”, dove il protagonista (o uno di essi) torna dopo tot mesi sulla scena del crimine (ossia il set, che può essere una città o la famiglia) e cerca di arrivare alle conclusioni chiarendo il proprio rapporto con le comparse più importanti, con le quali ha interagito durante la serie. Personalmente reputo questa tipologia la peggiore, come ho detto, specialmente quando non centra nulla con la trama. E naturalmente è questo genere di finale, che è stato applicato a Looking. Lo sceneggiatore infatti ha scelto di concentrare l'attenzione solamente su Patrick, mettendo in secondo piano gli altri amici e facendo diventare il film un one man show, sconvolgendo la dinamica degli episodi precedenti. Pertanto Patrick si ritrova al centro della scena e torna per liberare l'armadio dai suoi scheletri. È vero che l'occhio era sempre puntato sul programmatore, eppure non era così evidente e pressante come nel film tv. Questo è uno dei motivi per cui non mi è piaciuto. L'altro motivo è la storia stessa.
Invece di seguire il filo narrativo del decimo episodio, lo sceneggiatore ha deciso di incominciare da zero, introducendo poi nella plot gli elementi per capire il perché di questo taglio. E questo spiega l'atteggiamento alla “Uomo Ragno e il perché dell'occhio di bue su Patrick. Inoltre non ha di certo aiutato l'intervallo di tempo intercorso tra la fine della serie e le riprese del film. Si tratta di un anno che si nota pesantemente sul volto degli attori (che paiono averne presi addirittura dieci), ma si nota anche nella qualità e nella novità narrativa. È un po' ciò che è capitato a Will & Grace, benché ci sia una differenza di un decennio tra le due produzioni; si percepisce il taglio netto, la spaccatura. Se poi pensate che son bastati venti giorni per girare un film di quasi due ore, beh lo reputo decisamente troppo “leggero” e affrettato (confronto da attuare con le riprese di una stagione di un qualsiasi telefilm di successo come The Big Bang Theory, Friends, Streghe e lo stesso W&G).
Infine, come già detto, lascia delle porte aperte che sarebbe stato meglio chiuderle già a metà film o addirittura dall'inizio, o perlomeno che abbiano un finale preciso. Sostanzialmente il problema è stato il portare il climax alla fine e poi chiuderla con una caduta libera; detta con un esempio naturalistico, è come se da lontano vedeste il profilo di una montagna che si innalza progressivamente verso il cielo in un'unica vetta e poi da quella cima cominciasse un dirupo di migliaia di metri; oppure foste sulle montagne russe, e appena giunti nel punto più alto vi trovaste di fronte un vertiginosa discesa rapida. È un suicidio narrativo-cinematografico. Secondo me non si può prolungare l'attesa fino agli attimi finali e poi terminare con un “sarà quel che sarà”. Dubito fortemente che i fan abbiano approvato.
Anche la scena del matrimonio non mi è piaciuta: troppo semplice, troppo informale, non gli è stata attribuita la giusta importanza. Come recita uno degli attori “è una pura formalità”; ma sì dai, è solo una firma su un foglio, una cosa veloce perché “la vera festa sarà in discoteca con alcol e droga”! E giuro che ho citato quasi letteralmente la battuta del film. Ancora una volta, quindi, pare più importante impasticcarsi che qualsiasi altra cosa (come sposarsi). Vabbè...
Perciò riassumendo: non è ciò che mi aspettavo, non mi ha entusiasmato e l'ho visto solo per sapere come andava a finire. Se fosse stato un film indipendente uscito al cinema, certamente non l'avrei consigliato, essendo però il finale di un telefilm è ovvio che se iniziate a guardarlo dovete anche finirlo.
Saluti!
Valutazione finale (serie): 🤐
Valutazione finale (film tv): 😡👎🏼