In the greyscale, En la gama de los grises, recensione, film, LGBT
Un casino!
Quest'opera cinematografica la vidi già un sei anni fa, ma onestamente non ricordo quali furono le sensazioni a caldo. Probabilmente non discostavano tanto da quelle di ieri sera.
Il film è uscito nel 2015 ed è stato girato interamente a Santiago del Cile, capitale dell'omonimo Stato. Sfortunatamente non si può dire che sia un buon prodotto; anzi, tutt'altro.
La regia, curata da Claudio Marcone, è davvero pessima: ci sono delle inquadrature e degli stacchi nel montaggio totalmente insensati e disconnessi (es: la scena della discoteca e subito dopo il primo piano della pancia di Bruno mentre dorme). È stata certamente studiata male, ma è anche alquanto evidente che nelle intenzioni (e nella mente) del regista doveva essere qualcosa di sensazionale e/o rivoluzionario; per farla breve: (forse) pensava di fare qualcosa di figo, ma il risultato è stato un fallimento su tutta la linea.
Anche la sceneggiatura non aiuta. Il copione è scritto molto male, descrivente una storia senza senso. Infatti assistiamo essenzialmente a due trame: da un lato c'è la faccenda del progetto architettonico, dall'altro la vita e i drammi mentali di Bruno. Lo spettatore, di primo acchito, potrebbe pensare che si trattino effettivamente di due percorsi paralleli, mentre alla fine ci si accorge che l'idea del progetto è stata utilizzata dallo sceneggiatore come un riempitivo, un'escamotage per dare un senso al tutto. Il vero focus è il processo e l'esame di coscienza che il protagonista si trova a compiere durante tutta la storia. È palese la volontà di voler portare sullo schermo le sensazioni, i dubbi, i pensieri di una persona (in questo caso un uomo) che si sta auto-riscoprendo o che, per lo meno, si sta rendendo conto dei propri sentimenti e della propria sessualità. Quest'opinione è supportata dal fatto che dopo aver introdotto l'espediente del monumento nell'incipit, per quasi tutto il film lo sceneggiatore non ne parla al massimo accenna qualcosa, per poi ritornarci sul finire quasi si fosse ricordato all'ultimo di dover chiudere quella parentesi.
Dunque il problema di questa sceneggiatura è che non ha né capo né coda, non ha cioè un filo conduttore che la tenga unita e sopratutto il finale non conclude nulla. Arrivati ai titoli di coda lo spettatore non capisce cosa stia succedendo, come proseguirà etc. perché di fatto si tratta di una fine abortita, tronca.
L'elemento psicologico è presente anche nel titolo, il quale si riferisce alla sfera personale e della sessualità, secondo un esempio portato dal coprotagonista: secondo lui esistono persone con dei gusti precisi che sanno ciò che vogliono etc.. (bianco o nero) e poi ci sono altre che invece “navigano” all'interno della gamma dei grigi (questa la traduzione letterale) e che sono indecisi o comunque non sanno bene come collocarsi o ciò che vogliono.
Per quanto concerne il cast, c'è ben poco da dire. Francisco Celhay e Emilio Edwards non sono degli attori straordinari, super impegnati; semmai l'idea che traspare è che abbiano recitato “a sentimento” e in maniera naturale, spontanea. Tranne però nelle scene di sesso, in cui la finzione è palpabile per quanto (e qui non ci vedo il senso onestamente con tutto il resto) il regista abbia voluto entrambi gli attori nudi, con anche primi piani delle parti intime.
Detto ciò, credo sia ovvio che non consiglio la visione del film. Non ne vale la pena.
Valutazione finale: 😡👎🏼