Non è nemmeno concepito, che già ci son polemiche (giuste)
Ricordate quando si diceva "L'#Eurovision non deve essere controllato dalla politica, nè deve assumere caratteri politici"? beh sognatevelo pure! Prossimo anno ci saranno anche gli Usa sicuro! https://t.co/a9eny4nraV
— Ma io sopra o sotto? (@MaIoSopraoSotto) 14 maggio 2018
Non erano passate nemmeno dodici ore dall'annuncio del vincitore, che già il dittat ehm... il presidente del consiglio israeliano (o premier, fate voi) Benjamin Netanyahu ha subito dichiarato: «il prossimo anno a Gerusalemme». Ormai è diventata una fissa per lui fare tutto a Gerusalemme (vedi l'inaugurazione dell'ambasciata Usa).
È vero che già nelle passate edizioni, tenutesi nel 1979 e nel 1999, la città più importante d'Israele fu scelta come sede principale del concorso musicale; eppure l'esposizione in prima persona del capo del Governo è un fatto assolutamente da evidenziare. Certo, se fosse successo in un Paese come la Germania o l'Irlanda dove c'è una vera democrazia, questa decisione sarebbe passata quasi inosservata e menzionata come un auspicio o un invito. Però siamo in Israele, uno Stato in cui l'attuale primo ministro governa e opera da dittatore, avendo il controllo dell'intero Parlamento e continuando con le ingerenze sulla TV pubblica e sulle radio a propria discrezione, disponendo dell'esercito come gli pare! Cosa che nemmeno Berlusca face nei suoi tempi d'oro (e non lo stiamo difendendo). In una tale situazione è quanto mai probabile che ormai l'edizione 2019 si terrà a Gerusalemme. A rafforzare questa convinzione è anche il “totonome” sulle possibili venues: c'è chi pensa al Pais Arena Jerusalem, un palazzetto dello sport vicinissimo al confine palestinese, e c'è chi opta per l'adiacente stadio di calcio Teddy Stadium. Tra i due, quest'ultimo difficilmente potrà essere utilizzato non avendo un tetto che copra in caso di pioggia (infatti secondo il regolamento dell'UER, la sede deve essere al chiuso per motivi di sicurezza); sempre che Netanyahu non sborsi fior di soldoni per realizzarlo. Infine ci sarebbe il Binyanei Hauma, il centro congressi cittadino: tuttavia, anche questa opzione è scartabile vista la ridotta capienza, che non può contenere l'ormai crescente numero degli spettatori.
Non solo la politica inizia già ad allungare le mani, ma adesso c'è persino la religione, nello specifico l'ebraismo (palese), che comincia a rompere le balle. In una manifestazione dove né la politica né tantomeno il credo dovrebbero avere voce in capitolo, ecco che il ministro della Salute e capo della fazione estremista e fondamentalista ebraica Litzman alza le mani e dice stop! E quale sarà il motivo: forse la natura troppo problematica di Gerusalemme per via della difficile convivenza dei tre monoteismi? Forse si teme per dei possibili scontri interreligiosi? Macchè! Il vero problema è lo Shabbat! Chi se ne frega se Gerusalemme è una polveriera pronta a esplodere, chi se ne frega se Israele sta violando spudoratamente i diritti umani, ciò che importa è rispettare le funzioni religiose! Eh! Per chi non lo sapesse, lo Shabbat (sabato in aramaico) è il giorno sacro degli ebrei dedito al riposo, che impone ai credenti - praticanti di smettere di lavorare dal tramonto del venerdì fino al tramonto del sabato (Curiosità: da notare l'assomiglianza tra Shabbat e il Sabba delle streghe). Il ministro Litzam ha quindi scritto al suo corrispettivo della Cultura per chiedere che venga rispettato la sacralità del sabato in nome di “centinaia di cittadini, ebrei di tutti i popoli e settori”, riorganizzando gli orari. Una richiesta quanto mai stupida e illogica per varie ragioni:
- impedirebbe le prove del sabato mattina/pomeriggio agli artisti e l'operato delle giurie del venerdì sera (come se votassero solo loro poi, e i tecnici si possono cambiare);
- siamo convinti che tutti gli ebrei che finora hanno seguito l'Eurovision e che (magari) hanno lavorato per dare vita allo spettacolo (indipendentemente dallo Stato e dal settore), se ne siano fregati altamente, per questioni economiche.
In ogni caso, come la polemica è cominciata le orecchie dei dirigenti dell'UER si sono subito drizzate ed è scattata repentina la risposta: “siamo noi a decidere, assieme alla tv israeliana, non il Governo, ma l'ultima parola spetterà comunque a noi!”; questo è quanto riferito in soldoni. E noi facciamo un applauso simbolico, perché effettivamente né la politica né la religione devono intromettersi e rompere il cazzo!
Visti gli sviluppi attuali e quanto sta accadendo a livello generale, quanto scommettiamo che il prossimo anno parteciperanno anche gli USA? Non ci sorprenderebbe se (al più tardi) in autunno, giungesse una richiesta da Washington con nostra grandissima ripugnanza. Speriamo solo che quelli dell'UER non siano così stupidi da accettare, perché i neosposini Trump-Netanyahu hanno già fatto fin troppi danni finora.
Ma a creare problemi alla futura organizzazione non è solo la politica interna, ma anche quella degli altri Stati europei. Infatti già due Paesi membri dell'UE stanno pensando di boicottare l'edizione israeliana, a causa delle vili azioni che Israele ha perpetuato dalla sua creazione a praticamente oggi nei confronti dei Palestinesi e degli Stati vicini. Si trattano dell'Irlanda e dell'Islanda.
Ma mentre in Irlanda tale richiesta ha natura solamente verbale, per il momento, spostandoci più a Nord e cambiando una lettera nel nome, troviamo chi invece l'ha messa nero su bianco. Stiamo parlando ovviamente dell'Islanda, o meglio di 23˙700 islandesi (quasi, mancano solo due firme) che hanno già firmato la petizione pubblicata su change.org da Árni St. Sigurðsson (privato cittadino) e diretta alla tv islandese sul traguardo totale di 25˙000. Il tutto in meno di 24h (avendola pubblicata il 17 maggio). Se pensate che gli Islandesi in tutto sono 332˙529 (dati del 2016) e che la finale del 2016 è stata vista da 136.000 persone, le firme finora raccolte costituiscono il 17,4% degli spettatori. Che non è poco!
Anche in questo caso il motivo è l'aggressione israeliana ai danni dei Palestinesi; si legge infatti:
Ad avvallare questa richiesta e posizione sono anche due famosi cantanti (a casa loro): il primo è Daði Frey, uscito secondo dalla selezione nazionale dello scorso anno che ha già dichiarato di non volersi rimettere in gioco nel 2019, in quanto non in grado di “partecipare alla festività (alla gioia) dell'Eurovision con l'anima in pace, sapendo che Israele e il suo esercito stanno oltraggiando i Palestinesi con una brutale violenza”. A tali parole fanno eco quelle di Paul Oscar, che partecipò all'Eurofestival nel 1997, il quale ha chiesto alla tv di stato di non presentarsi il prossimo anno perchè, secondo lui, chi mai andrebbe a Gerusalemme “con l'attuale spargimento di sangue dall'altra parte del muro?”.
Benchè sia ancora presto per una presa di posizione, i dirigenti della RÚV (la tv nazionale) hanno già annunciato che la presenza dell'Islanda all'Eurofestival non è mai data per certa e che terranno conto della situazione politica e degli sviluppi della guerra in corso fino al prossimo autunno. Non serve evidenziare come un simile comportamento sia totalmente estraneo alla nostra società e quanto la Tv islandese sia ben disposta ad ascoltare la voce del popolo; non come in Italia che se ne sbattono altamente.
Staremo dunque a vedere se ci saranno nuovi sviluppi, ma siamo un po' pessimisti perché le proteste non hanno impedito alla Cina di ospitare le Olimpiadi nel 2008, figuriamoci lo stato a 6 punte con l'Eurovision.
A presto!
PS: come fanno notare i ragazzi di Eurofestival News, è curioso come la vittoria di Israele all'Eurovision accada ogni venti anni netti (eccezione per il 1979 che replicò, ma che non tornò a organizzare). Buffo no? Coincidenze? Secondo noi no, dato che è possibile che i giochi fossero fatti già a metà concorso e anche per la propaganda attuata da Israele su una nota app gay. Per entrambe vi rimandiamo al nostro riassunto della finale.
Fonte: Eurofestival News.